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Pubblicata il 19/06/2004
le mie mani posate sulle ginocchia,
piegate,
gli occhi si riempiono di quella vita
labile e breve propria dei gabbiani,
l’anima respira il rosso e il blu
che si fondono in questo squarcio
di silente paradiso.

e anche se la mia mente è assediata
di fantasmi
e le mie membra sono sporche
del mio stesso sangue
per un attimo riesco a rapirmi
a segregarmi in questo mistero:

il miracolo di un giorno che inizia

l’emozione di un luminoso capolino di vita
uno squarcio nella tenebra,
anche se breve,

una nuova vittoria della luce.

e nel silenzio nella solitudine
che ognuno attende che anche il proprio
fuoco si plasmi,
un fuoco che nasce dall’acqua,
che affiora dalla confusione della solitudine
e di quel tormento si alimenta,
crudele e impetuoso tutto distrugge.

molto è in cenere,
molto altro muore,
come un germoglio giovane e tenero
che inquieto spira nella terra.

il resto è polvere, solo polvere,

fredda, leggera,impalpabile,
polvere
di stelle,
di mare,
di vita
e di morte insieme.

vergine uccisa,
meteora ignorata,
testimonianza inattendibile
del fallimento del tempo,
della paura di aprire le porte
all’ignoto e all’inesplorato,
alla guerra dei sensi ed al destino.

un modo beffardo
di limitare i propri orizzonti,
un abile imbroglio
per poteggersi dalla sofferenza
e togliere vigore
al desiderio di gioire,
soli con la propria esistenza.

arrampicarsi
per poi precipitare velocemente,
scivolando sul tagliente percorso
dei propri giorni.
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