Piego or le ginocchia
e all’ombra mi siedo...
resto laddove c'è più frescura
e anche i raggi di sole
evitano il contatto con la mia natura
quasi per timore di dare luce
a quella paura, che in me
tutto nasconde
come fossi un viaggiante
sorpreso dalla bufera.
la mente or sorvola
ben più in alto delle fronde,
sino ad arrivare a quel cielo
così pieno di nuvole
che lente, continuano
quel loro perenne viaggio
nonostante le umane brutture
arrivino fin quasi a sfiorarle
in nome di un dio troppe volte
rimproverato di non essere sé stesso.
gli occhi invece, sono ancora vispi,
sebbene l'incipiente età
veli il mio sguardo,
così sempre in ritardo rispetto
all’anima, che tutto percepisce
quasi fosse integra coscienza di me,
in perenne cammino verso
ciò che intravedevo nei colori
di un domani ballerino.
piego or la testa
e rimango ad origliare il vento
che di foglia in foglia, musica ogni fola
sino a farla divenire strumento di vita,
sento l'accartocciarsi del fogliame
nel difendersi dalla corrente,
e lieve è il fischio della brezza
che si fa greve, sferzando i tronchi
sin quasi a scorticarli,
quali fossero corpi sotto la frusta.
allungo or le mani
fino a toccare il suolo,
dove il miscuglio di terriccio
e morte foglie
fanno da tappeto alle mie orme,
ho il sentore di una vita
che continuamente ricicla
parte di sé, fin quasi a misurare
il tempo a ritroso,
quel ch'era prima foglia e fiore
nel mutamento ritorna cibo
e nutrimento, del bosco amico.
alzo il mento in alto
e inspiro profumi,
per poi respirare esistenza
che in me trova breccia
nel torace, dove un cuore batte
in flagranza di vita;
tutto attorno a me odora
e io in estasi, nel chiuso di me
resto ancora un po'.
mi rialzo in piedi
il sole ora è alto, mi indica la via
posso rientrare...
anche oggi ho vissuto il sogno
dell’attimo perduto,
visto che in me ho ritemprato
quel bimbo, che prono
un dì, all’ombra si nascondeva
per la paura di diventare uomo.
© Saverio Chiti, 11 marzo 2023
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