Io so il dolore rubare
lasciato li, nei vimini di pietre
ostili al cielo.
rubava con le mani in canto
e cantava il nulla
che sembrava preghiera
e mi dicevo in gaudio
le prede da bruciare.
ma c’era il maggio folle
tra i macigni a picco
scrivere fiori assorti,
come lance al cuore
dell’inetto.
trovai allora il tempo
inginocchiato
tra le ferite aperte :
scandiva un nome terso
per ogni cielo cupo
ormai fiorito.
c’è modo e modo
il cielo, guardalo,
non ci è avverso.