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Pubblicata il 11/12/2019
C'era un uomo disperato spaparanzato per terra
urlava in un'altra lingua
e non lo capivo
ma sentivo la guerra nella sua saliva
e non c'era più bisogno di parole
avevo il suo dolore in bocca
amaro come il retrogusto di una bevuta stanca
avevo il suo stridore nella giacca
il vento m'incollava la sua solcata faccia
e fui con lui a terra, a sua insaputa

fra lacrime ed urli come infante
s'intravedeva il suo essere diventato grande
all'improvviso,
il suo essere in un ingiusto paradiso
lontano da casa e dal sorriso
di una moglie allontanata
senza amore

la sua disperazione era per me un mezzo di vita
e ammetto che me ne sono cibata per partecipare un po' di più
al dolore del mondo,
per alleggerirlo dal suo peso rotondo,
per non lasciarlo solo durante la mareggiata,
per non affossarlo nel fondo della carreggiata.
sentivo il suo dolore nella pelle ed è stato come un ago infilzato senza preavviso.
non potrò mai sapere da cos'è stato causato
ma non m importa.
piangeva sulla porta dell'ambasciata,
urlava sul marciapiede, in una folla che a vederlo
- Lo straniero strano -
era scappata spaventata dalla lingua araba intonata su tristi canti da sultano
avrei voluto esserci stata io a darti la mano
a dirti che per quanto lei sia lontano, il cielo qua sopra è sempre lo stesso
che per quanto dolore ci sia nel vento, il cielo è sempre aperto
e aspetta noi

il suo sospiro sembrava sfamato
e il mio finalmente pacato gli si posò sulle spalle.
fu allora che l'uomo
mi strinse gli occhi in un sorriso, si dischiuse la valle

quell'ingiusto paradiso non sarebbe più stato lo stesso
era solo un altro posto,
un vago ricordo,
un istante in fondo
al cuore,
e non valeva tutto quel dolore
non adesso
che era tempo di lottare
e di asciugare i fiumi che solcano il volto
per tornare all'ascolto del vento
senza timore
di perdere altrove
l'amore
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Bella la chiusa, ma testo un po' lungo...

il 11/12/2019 alle 06:05