Da quell’altezza sembrava tutto meravigliosamente semplice. Appoggiata alla ringhiera arrugginita del promontorio, ammirava il placido ma deciso flettersi della natura circostante: la vastità del mare era difficilmente quantificabile dall’occhio umano, così come la sua profondità. I colori, a tratti, sembravano fondersi con quelli del cielo. Il fragore delle onde che s’infrangevano sugli scogli arrivava fin lassù e sapeva di salsedine e libertà, di terre lontane e parole inespresse, di un tempo ormai passato che non avrebbe più fatto ritorno. Avevano il potere di distrarla dai pensieri – il fragore delle onde ed il sapore della salsedine - e questo le bastava. Il vento giocava a rincorrersi tra gli alberi ed i suoi capelli, per rammentare che nulla è mai fermo: la natura vive, si respira, danza. I gabbiani, da quel vento, si lasciavano giocosamente portare. Così, senza opporre resistenza...
Forse avevano capito il vero senso della vita.
Dimenticò perfino il modo in cui era giunta fin lì, in quel momento provvidenzialmente deserto. I fogli erano ancora accartocciati fra le mani, l’aveva letti talmente tante volte che sembravano, ormai, carta straccia. Passarono dalla mente, per pochi istanti, le ore trascorse in quelle sale d’aspetto mediche odorose di fumo, di ansia, di attese e di responsi devastanti. Quel giorno, sembrò tutto talmente insostenibile che si alzò, di scatto, da quella sedia e scappò via, a cercare il blu del cielo. Il silenzio. La pace. La profondità del mare. La sua vera essenza. Dimenticò, per qualche istante, la complessità del vivere e la facilità del morire.
Immaginò di scivolare giù, in quel fondale marino ricco di coralli e meduse, di vita pulsante e conchiglie.
E ne raccolse i fiori più belli.
(il mio primo racconto breve, anno 2016)
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