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Pubblicata il 01/05/2019
Un uomo,
il volto segnato dal tempo e dalla fatica,
siede immobile sulla panca di legno
stringendo il bastone.

guarda fisso
le macchine in corsa, che sfiorano
l'angolo di cui egli è padrone.
gli occhi son fermi.

lo sguardo rispecchia
la grande avventura degli altri,
l'indomito, pulsante sogno dei figli,
e s'imprime di un intenso sapere:

che il tempo non ferma
che le stagioni scorrono quasi invariate;
e scorreranno sui volti sfocati, ma decisi
a conquistarsi la fetta del mondo,
che pensano loro appartenga.
egli siede e contempla
il teatro di vita sempre uguale.

sottende un' antica saggezza quel volto,
sempre la stessa dai tempi dei tempi:
sei caduco, figlio,
a pensarci ogni tanto non muta il destino,
ma può darti coraggio
ad essere uomo migliore,
a risvegliare il meglio ch’è in te.

ho lasciato i miei beni
a chi nacque da me.
anche loro sperano
in qualcosa d'immenso
e vivono in dolci apparenze scordando
l'intensa fatica, che s'accontenta di poco,
e che ha dato un frutto cospicuo
al mondo dei figli dei figli.

dimenticano anche l'amore,
il bisogno di unirsi
per stringersi nel comune calore.
dimenticano lo stare con gli altri, per nulla,
il bisogno d'amore che han tutti,
anche i vecchi come me.

corrono invece affannati
non il tempo di parlare, non tra loro,
non incontro all'angolo mio, al mio bastone,
che solitario, in un tempo vicino
forse li sorreggerà.
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