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Pubblicata il 09/09/2018
Non appena seppi che quell’arpia della madre
di Sisifo aveva buttato l’osso a Regino durante
una notte in capanna d’assi affinchè da pollo,
credendosi figlio della gallina bianca, battesse
due chiodi a una calda, capitai tra capo e collo.
chef de cuisine capì subito il mio intento di
benedirlo con la granata; mesto, riposto il
mestolo, mi assicurò di bruciare il paglione.
chiamò il giovane lavapentole e, senza scopo,
iniziò a battere il cane al posto del padrone.
non volendo battere la grancassa, decisi di bere
d’ogni acqua all’arrivo delle gocce di pianto
di Fedora decisa a buttar via l’acqua sporca
con il bimbo dentro a causa del vezzo del moroso.
tal Teodoro era solito, con quel scampaforca
del mozzorecchi, correre la cavallina per poi
cercare di cavalcare la tigre, cercando l’asino
nel retrobottega di Isabella ed essendoci sopra.
consigliai alla dettagliante non solo di non
comprare la gatta nel sacco, ma al di sopra
di tutto di non consolarsi con l’aglietto per
non cadere a brani; solo per cavar sangue dalle rape.
di tutto questo era al corrente l’artiere che adorava
citare testi e pentole: chiudeva a sette chiavi ciò che
gli sussurrava il sindaco, ma nel manico ciurlava
alle confidenze dell’archivista, contando
i bocconi agli interessati; ma col leguleio…
con lui cercava di raddrizzare le gambe ai cani.
il mio preferito di questo regolato guazzabuglio era
il prestinaio, regolarmente il più regolare dei ruffiani.
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