Rammento un anziana mendicante
trascinarsi penosamente
lungo le strade del mio quartiere,
con passi trafelati,
sotto il peso incessante
dei suoi poveri averi,
al tempo in cui ancora
potevo sentire gli occhi di mia madre
intenerirsi sul mio volto,
ascoltare la morbida carezza nella sua voce,
senza attendere
che visitasse dolcemente i miei sogni,
nelle notti placide in cui
mi sembra di vagare lontano,
nel tempo e nello spazio.

ricordo il tuffo al cuore
quando, complice la distanza,
mi colpiva una certa somiglianza
tra le due vecchine,
acuita dalla foggia simile degli abiti,
malgrado quelli della mendicante
fossero sporchi e laceri,
e lo strazio anche solo di immaginare
lo sguardo di mia madre, abbandonata,
priva di sostegno e di risorse,
nei miei occhi,
carico di rimprovero e speranza.

col tempo mi sorprese della mendicante
l'ingenua astuzia nell'accattonaggio,
abbandonata la fronte al muro,
gli occhi velati dal braccio tremante,
fingendo maldestramente
il pianto e la disperazione
che non avrebbe avuto
alcun bisogno di simulare,
se la lunga pratica della sofferenza
non le avesse inaridito le lacrime
e anestetizzato il cuore,
lanciando scopertamente occhiate
a destra e sinistra,
in attesa di qualcuno,
il quale, impietosito,
le offrisse conforto,
soprattutto materiale.

ora vorrei poterla rivedere,
donarle qualche euro,
essere gentile con lei,
dirle che non importa,
che il suo strattagemma
non le reca certo disonore,
nelle tristi condizioni in cui
consuma ciò che resta della propria vita,
e magari pregare per lei,
nella Cattedrale di Nostra Signora dell'Ipocrisia.

ma è giusto così,
che mi sia preclusa
la possibilità a buon mercato
di apparire ai miei occhi,
e magari anche a quelli altrui,
un uomo generoso, un uomo sensibile,
tanto la parte di me
che non mi è amica
strapperebbe la mia maschera,
intimamente e pubblicamente,
rivelando che non sono
quello che vorrei spacciare
a me stesso e al mondo,
perché anch'io
sono un impostore,
oltretutto privo di attenuanti.