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Pubblicata il 01/12/2012
Oggi, 30 Novembre 1997, primo giorno d’Avvento, un Avvento che sento lontano; sono lontana da me mille anni luce, sono lontana dal varcare la soglia del terzo millennio, chiusa come sono in un bozzolo di nebbia interiore e d’ombra esteriore.
30 Novembre, come suona lungo e greve questo giorno, l’ultimo di un lunghissimo mese durante il quale mia madre ha avuto fortissime manifestazioni di arteriosclerosi. Il fatto ci ha colti di sorpresa tutti; me, mio marito, i miei figli. Tutti.
E’ difficile fronteggiare questa condizione di mamma. Tenere testa alla sua dissociazione, al suo Smarrimento, alla sua alterazione della realtà spazio-temporale.
Questo mese lunghissimo e doloroso l’ho vissuto anch’io fuori di me,
l’ ho vissuto come spettatrice ed interprete.

Un mese, una situazione che il mio subconscio sembra allontanare dal sé pensante e vivente.
Siamo al 30 Novembre, Domenica, primo giorno d’Avvento, e la scala da salire sembra allungarsi all’infinito, la strada da percorrere si aggiunge ad altra strada e la strada è inframmezzata da tunnel tenebrosi che non lasciano intravedere sbocchi di luce a breve termine.
Non ho vissuto questo mese nella mia realtà personale, ma come se io e mia madre fossimo un’unica persona, io e lei in un’osmosi inesplicabile, in una unità ancora placentare.

Questo mese l’ ho saltato. E’ stato come se avessi avuto il potere di librarmi in volo su un ponte di tempo. Al di là dei miei giorni; come se mi fossi ibernata, addormentata, mentre il tempo, i giorni, le ore, i minuti di questo mese mi avessero risparmiato ogni dolore, ogni giorno, ogni notte; le tremende notti passate al fianco di mia madre, nel letto di mia madre. Mi sono state risparmiate le sue allocuzioni notturne, astratte, assurde, incomprensibili.

Mi è stato risparmiato il suono della sua voce, che tocca altezze impensate.
Mi è stato risparmiato il suo verso monotono, il suo lamento, che fa parte di un suo rituale del sonno
che fa addormentare lei e fa impazzire me, e che allontana dai miei occhi quel sonno tanto atteso. Atteso quale misterioso e silenzioso liberatore, quale angelo che viene a spezzare invisibili catene; sonno come l’Angelo di Daniele, l’Angelo di San Pietro. L’Angelo consolatore che non viene ancora.

Ma ecco, quando finalmente viene e le pupille sembrano farsi di granito, un gemito, un fiato, un lamento lo infrange, lo sbriciola, lo dissolve in polvere di sabbia. Ora bisogna ricominciare tutto daccapo.

Ritentare di riannodare le fila di un discorso interrotto. L’orologio digitale sul comodino è l’unico strumento lucido e razionale. Non c’è verso che sgarri di un minuto.

Scorre imperturbabile contro ogni mio desiderio. In fondo, non so’ più se desidero che esso vada più svelto o rallenti la sua corsa per darmi un ultima possibilità di riallacciare quel filo di sonno perduto,
di tempo perduto, di sonno perduto, di vita perduta inesorabilmente.

Sembra quasi che il debito della vita che debbo a mia madre io lo stia pagando in rapporto di 100 a 1'000'000. Discorsi vacui, da sonnambula, ne sono certa, o forse, ecco il dubbio mi assale violentemente, senza nessuna ragione apparente o di rapporto credito/debito, forse proprio questo mio
tempo, questi miei giorni, queste notti, questi attimi vissuti accanto a mia madre rappresentano l’unico tempo vissuto pienamente?

Sia il solo che abbia avuto valore? Sia il solo, come dice Hesse, che sia stato capace di imprimere nella mia vita un solco, una traccia, una memoria tanto “pesante“ che nessun altro tempo, mai, potrà cancellare dalla mia vita e tutti gli altri eventi, avvenimenti, che verranno, se verranno mai per me giorni lieti e leggeri, vissuti o soltanto sognati, anelati con grande nostalgia spirituale, potranno scalfire il ricordo, la via crucis dolorosa che dura da
otto anni di questo immobile tempo.

Ero come un albero in fiore dieci anni fa, ora mi sento spogliata di ogni diritto personale, di ogni capacità di autonomia, di ogni libertà. Ogni diritto e’ stato sacrificato sull’altare del dovere.

Quell’albero in fiore ora appare, anche suo malgrado, agli occhi di tutti come un tronco spoglio di tutte le sue attrattive. Senza più rami, foglie, gemme, fiori e frutti. Senza più alcuna bellezza. Sento nel mio corpo tutto il peso dell’età di mia madre.
Sento in me tutte le limitazioni fisiche dei suoi 85 anni.
Il suo esile corpo e’ pervaso da una autorità, da una forza interiore che sconcerta a qualche volta lascia ammirati.
Lei risorge sempre dalle sue ceneri, come l’araba fenice, ed ora che la veemenza senile sembra accrescere la sua energia, noi tutti, suoi sudditi, giriamo vorticosamente come trottole ad ogni suo comando.

Quando, raramente, viene colta da attacchi di insperata dolcezza e premura materna, questo basta per garantirsi il nostro incrollabile amore e la nostra dedizione filiale, messa a dura prova.

Talvolta mi appare in tutta la sua vulnerabilità, ridotta ad ossa e pelle ed occhi. Occhi grandi, vivaci, penetranti, irati, sorridenti. Ci tiene tutti in pugno. In quel suo pugno ridotto a scheletro, dove le nocche delle dita sono sporgenti e bianche, dove si possono vedere tutte le ramificazioni venose ed arteriose.

Mani che un tempo hanno lavorato, fatto bucati, impastato pane, raccolto il grano, tagliato grappoli d’uva, cucito abitini, rammendato calzini. Ed ora io sto a misurare il mio tempo, il mio lavoro.

Inevitabilmente sono paragoni che non reggono, non possono reggere il confronto, non posso valutare obiettivamente. Adesso il mio discorso sarebbe troppo di parte. Il debito della vita ricevuta non si estingue mai.

Guardo mia madre e per effetto speculare vedo me, vecchia e bisognosa di cure, di premure, di assistenza, di affetto filiale. Ed e’ inevitabile la domanda che sale dai bordi del cuore: “quando il mio Tempo verrà, chi mi sarà vicino a stringermi le mani?”

A vivere con me e per me la sua Storia D’amore?

Post scriptum: mia madre è vissuta 92 anni. Ho varcato con lei il terzo millennio e ne ho condiviso due anni. ero sola con lei, quando ho raccolto il suo ultimo respiro. Mi lasciò il 4 aprile del 2002. era un venerdi, alle ore 17, 56. Si addormentò come un passerotto, senza dirmi una parola di addio.
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è molto commovente,tutti sappiamo dare una voce all'amore,ma per quando riguarda la malattia restiamo spesso immobili,vittime di un susseguirsi di giorni carcerari alimentati solo dalla lieve fiamma della speranza,Tuttavia ci serve,ci aiuta a conoscere i nostri limiti,ci fa vedere tutto sotto una luce diversa,e ci fa capire quando immenso sia l'affetto verso i nostri cari.Ogni giorno abbiamo il timore che possa spezzarsi la corda,è lo viviamo intensamente,come sicuramente avrai fatto tu per gli ultimi anni.Ci vuole coraggio per parlarne,e mi congratulo con te per averlo trovato,nel momento e dopo.
Un caro saluto

il 01/12/2012 alle 13:13

Colpita profondamente da questa lettura.
Alessia

il 01/12/2012 alle 15:02

Mia carissima amica Anna,
innanzitutto ti auguro una lunga vita
piena di belle sorprese
e poi ti benedico per tutto l'amore dato.
Ti capisco perfettamente perchè anch'io
ne ho passati di dispiaceri per un figlio
e sono ventiquattro anni che combatto
una guerra senza tregua, poi te ne parlerò
un giorno. Leggendo questa tua mi hai fatto capire
com'è grande il tuo cuore.
Mi fermo quì, ti abbraccio affettuosamente. Marì

il 01/12/2012 alle 18:04

Non pubblicare mai più un testo così...
non è per la lunghezza, è per il contenuto...
mi sono fermato a metà...non ho potuto continuare perchè ho provato delle sensazioni che da tanto non sentivo e che non riesco a decrivere...
sempre bravissima
perdona la brevità e l'oscurità...
ciao anna
Andrea.

il 01/12/2012 alle 19:14

Gli eventi agiscono diversamente sulle persone, non vale la legge causa-effetto,
c’è chi è impermeabile a qualsiasi cosa possa scuoterlo alle radici e scavare solchi profondi nella sua psiche.
Ne conosco di persone così. Non credo si tratti di essere migliori o peggiori, anche perché poi alla fine chi conserva freddezza e refrattarietà di fronte agli avvenimenti più dolorosi credo che agisca in risposta ad un innato istinto di auto-conservazione.
La storia che hai vissuto è molto dolorosa, soprattutto per come l’hai vissuta, ha potuto incidere così profondamente su di te perché sei ed eri “terra accogliente e morbida”, perché chi è sensibile sente sulla pelle, fin nelle ossa la sofferenza altrui e la fa propria….ed è normale, penso, che in certe situazioni si scateni la conflittualità odio-amore…..
Non mi dilungo, sennò faccio un romanzo…..aggiungo solo che mi ha colpita molto, la tua “Storia d’amore” che aspetta ancora l’addio dopo 8 anni.
Ti abbraccio forte Anna.
Eos

il 01/12/2012 alle 19:23

Quando ero ragazzo,mia madre si ammalò, fosse mal di testa,fosse depressione,fosse malattia del secolo,resta il fatto che lei restò inferma per 25 anni anche se autonoma nelle sue funzioni.
Non ho avuto mai momenti cosi belli e emozionanti.
Si viveva contenti al solo vederla,trasmetteva felicità,ci dava sicurezza nell'affrontare situazioni che sembravano difficili,era una grande amministratrice,non ci faceva mai sentire a disaggio ed era straordinariamente amata dalle persone che la conosceva.Quello che tu hai dato a tua madre,ti sarà ricompensato nella tua vita e sarai sempre fiera di aver dato a lei tutto l'amore che aveva bisogno e di esserle stata vicina nei suoi bisogni.Tua madre finendo a 92 anni ti ha lasciato
un patrimonio di ricordi.Pur creando dei disaggi e in particolare a te,la porterai sempre nel cuore
perchè una madre non sarà mai dimenticata.
E' stata molto bella questa tua lettera,che mi ha fatto conoscere tua madre,e molto di te.Cari saluti eclisse.

il 02/12/2012 alle 00:46

Quanto siete cari amici miei, non ho avuto mai commenti così lunghi, vi ho impegnato davvero tanto..vi ringrazio ma era qualcosa che mi portavo dentro da troppo tempo. Vi giuro, sì vi giuro che non vi rattristerò più con questi piagnistei, Andrea, ti giuro, mai più!
Grazie Marygiò, grazie eos, grazie eclisse, grazie pako. Tornerò con un abito nuovo, magari rosso, per queste feste. Vi abbraccio.Anna

il 02/12/2012 alle 22:10

solo per chiarezza...
i tuoi NON SONO PIAGNISTEI, altrimenti se come tali fossero recepiti penso che nemmeno sarebbero commentati, ti pare...
la libertà di scrivere dall'argomento felice a quello triste è tutta tua cara anna, sei magnifica sempre...
ho scritto quello che ho scritto perchè mi hai riportato alla mente dei ricordi tanto tristi che ho proiettato in quel commento...
quindi ogni tuo "abito" ti calza a pennello e ti sta bene...
perchè i tuoi testi emozionano...risvegliano gli animi...
non tenerti dentro più nulla, noi tuoi amici della csa siamo sempre pronti a confortatrti e a condividere con te esperiene anche nostre per crescere tutti assieme...
ovviamente questo non significa essere obbligati a rendere pubblico tutto, solo quello che ci si sente...
grazie anna
ti abbraccio tantissimo
Andrea^^

il 06/12/2012 alle 19:41

Questa non è una poesia, è vita.... forse la poesia più vera di tutte, quel tipo di poesia che può scrivere e che scrive anche chi scrivere non sa per niente (ma questo non è il tuo caso). Quel tipo di poesia che però può scrivere soltanto chi ne ha il cuore e la sensibilità.
E' il senso della vita, la lezione che Dio ci impartisce giorno dopo giorno.
Una lezione dura e difficile, un crescere che costa sofferenza e profonda fatica.
Se pur non sappiamo, se pure ci chiediamo: "Perchè?", nel profondo avvertiamo che è così perchè così ha da essere. Non sei sola, certi momenti prima o poi li viviamo tutti, solo non tutti abbiamo ricevuto il dono di farne un occasione per crescere, per divenire un poco più grandi, un poco più fragili e insieme più forti.
Fulvio

il 12/12/2012 alle 14:51

A distanza di 6 anni sono passata a leggere questo testo...ho trovato tanti di voi che credevo perduti. Grazie amici miei, grazie per la vostra solidarietà che allora come oggi mi circonda come un abbraccio

il 14/04/2018 alle 16:31