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Pubblicata il 23/07/2010
Tra il grano e l’icona
l’iconostasi che li creò uomo e donna
e il partenio attraverso il cui velo
sfioro il soffio
di coloro che non accadrà che si tocchino
perché le parole non possono trasfomare l’oro
in trave dell’occhio o la pagliuzza
nel bambino che al tuo capezzale succhia –
si estende una terra di nessuno
una lussureggiante geografia del culto
dei corpi che pensano di avere corpi
e sequenze genitali di mondi diventate decorazioni
perché noi ci possiamo giocare
tu e io, tenendo aperte le gambe
nel battere e nel levare frenetico del martello
e del lattemiele nella zangola sotto il pestello
e tutto questo, accadendo nella spazio inscenato,
immaginato come da noi separato, sarà separato
in un guerriero privato e in una vergine rifugiata,
nudi di fronte alle vesti, lineamenti di marmo.
Lui, immaginandosi lupo, deve fingere di obbedirle
(ululo)
lei cerca lo strofinio che faccia scintillare il dio bambino.
Poi le porte si chiudono all’avanzare della città in lutto.
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