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Pubblicata il 28/10/2009
Non restano dieci grammi
non resta neanche il pulviscolo
tra questa foschia compatta
come lastrone di bitume.
Procedo a carponi, a tentoni
sentendomi scivolare dentro
questo incedere stantìo
tra gli squarci della corazza
i frammenti sparsi dello scudo
i brandelli, i brandelli
rimasti, di mantella, di vita.
La spada è un temperino
buono a sbucciare patate
nel sottoscala grondante
appiccicosa umidità.
Mi tergo la fronte e le gote
con un altro paio di maniche,
in fondo filtra qualcosa,
uno stiletto di luce,
il sonoro a singhiozzo
come lacrime di clown pentito
che rimbalzano sulle rotaie
dove la caviglia s'incastra.
Classico il fischio del locomotore
simile al merlo comune
che saltella tra balcone e grondaia.
Ma qui si procede lenti
appannati, spannati
rappresi tra persiane che sbattono.
Sagome appaiono come maschere
di fatiscenti sale periferiche
strappando sbadigli e biglietti.
Una pellicola già vista.
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