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Pubblicata il 07/12/2008
Deus absconditus
immutabile nei capelli
mi chiedi volontà di verità,
ma posso offrirti brandelli
sul mio vestito lacunoso.

Chiedi carità, offri eternità,
ma io mendico timidi
anfratti di somatica pietà,
lungo la tenda di creta
della mia carne di seta.

Di te odo doloroso
ogni peso, numero e proporzione,
natura, forma e mutazione
statico, sempre dubbioso.

Credo mi vincesti sordità
mentre nello speco annaspavo
bagnato di peccato ansimavo,
nelle viscere lacere in profondità,

sino al grido di vendetta
dell'amore che raccoglie
sulla sabbia i frammenti
di cuore e li accarezza
nuovi in Adam risorto.


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Il "Deus absconditus" posto all'inizio della poesia è una realtà oggettiva che non cessa anche di fronte alle evidenze della fede unite alla ragione naturale. La teologia apofatica ci insegna che le infinite perfezioni di Dio anche nella vita beata non saranno comprese dai beati proprio perché infinite.
Io sono un filosofo cristiano di scuola aristotelico-tomista, come ogni domenicano.
Non sono d'accordo con Pascal e ne spiego le ragioni.
L'apologetica pascaliana muove dalle prove storiche del cristianesimo (Scrittura, miracoli e profezie), come fa anche S. Tommaso. Ma queste non sono prove per chi già crede? Non solo: Pascal afferma che il cuore, non la ragione sente Dio ( Pensieri, 278). Il suo celebre argomento del "pari", cio è la scommessa su Dio è probabile, come come per un giocatore di dadi l'ottenere una certa cifra in un dato numero di lanci. Dunque lascia nel dubbio, poiché il filosofo parla di convenienza, non di evidenza, tantomeno di dimostrazione.
Il suo pensiero si comprende nella critica alla metafisica cartesiana che aveva voluto fondare l'esistenza di Dio su principi ipotetici, come quelli che stanno a fondamento della scienza matematica. Ma la sua prova non si fonda su calcoli ipotetici della probabilità?
In realtà per quanto attiene alla conoscenza di Dio c'è un duplice mod: alcune verità come il mistero trinitario, l'eesenza divina, etc, superano le capacità della ragione umana; altre sono accessibili alla ragione umana come ad esmpio l'esistenza di Dio, che è la massima aquisizione della teologia razionale. L'intelletto umano in rapporto alla sostanza divina e in generale in rapporto ad ogni conoscenza muove dai sensi ed arriva a conoscere che Dio c'è, perché non ripugna alla ragione che riconosce gradi di perfezione in tutte le cose create. Certo questa conoscenza è imperfetta e mescolata ad errori, ma può venire integrata e trovare compimento nella conoscenza di fede che si rivolge direttamente, anche se oscuramente, al mistero. E' un segno della benevolenza divina prescriverci di credere anche ciò che la ragione può ottenere da sola; in tal modo tutti possono partecipare alla conoscenza di Dio, facilmente e senza rischiare di cader preda del dubbio e dell'errore.
Ora l'argomentazione di Pascal sulle prove storiche: Scrittura, miracolo e profezia non tiene conto dello sguardo filosofico, nel senso della filosofia dell'essere, cioè uno sguardo puro che sappia discernere il miracolo. Comunque sia la sua considerazione sulle prove storiche resta di grande efficacia nel contesto storico della Riforma.
La domanda è questa: Cosa impedisce, anche semplicemente a livello filosofico di riconoscere il carattere unico e fondamentale dell'esistenza di Dio nella storia? Penso la rettitudine dello spirito, animato dalla conoscenza della verità.
In un tempo come quello della Riforma, in cui la ragione si affacciava minacciosa per tentare di confutare dati storici del cristianesimo e muovendo dalla critica alla metafisica cartesiana è più che ovvio da parte di Pascal il tentativo di una evidenza storica dei fatti, che non una ragione capziosa e viziata nei suoi contenuti. Bisogna inoltre aggiungere che il suo devoto asservimento alle pratiche ascetiche e devozionali nel tentativo di ricevere la grazia efficace riservata ai predestinati darà luogo un secolo dopo all'agostinismo giansenista.
Comunque il filosofo del "pari" resta un apologeta di efficacia.
A.




il 08/12/2008 alle 10:19