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Pubblicata il 27/07/2008
Ne’ la catena der dienneà
smanca ‘n’anello. Sbajo de Natura
o c’è un disegno assopra a ‘sta cratura?
Quarcuno l’ha voluto aregalà

acciò se coji er senzo de la vita.
Chi je sta affianco cià un dono preggiato
ché da lui pija più de quer che ha dato.
Te guarda e la dorcezza sua è infinita,

Angelo senza voce, Angelo muto.
Te dice tutto senza dìtte gnente
e un’ora accanto a lui pare un minuto.

‘Gni gesto suo, d’amore è ‘na sorgente,
è er segno de Colui che cià voluto
facce capì che in lui c’è Er Nipotente.


acciò se coji = affinché si colga


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Complimenti, Pasquino. Io col dialetto ce mastico poco. Se risentimo! M.

il 27/07/2008 alle 21:37

Il mio è ritorno, poiché tempo fa scrivevo su PH. Il romanesco è la mia passione, ecco perché mi cimento in questo vernacolo. Se hai studiato a Perugia conoscerai il dialetto perugino che, malgrado i soli 40 chilometri che ci separano, è totalmente differente da quello tuderte, che ha invece molte assonanze con il romanesco, sia nei vocaboli che nelle espressioni e nei proverbi. Evidentemente l'influenza dello Stato Vaticano ha determinato questa corrispondenza dialettale. L'amore per il Trilussa, Pascarella ed altri grandi poeti romaneschi ha fatto il seguito. Grazie per il tuo commento.

il 28/07/2008 alle 07:04

Un benvenuto caloroso e per dirti: "ciac, buona la prima".
Mandi.
L'orco.

il 28/07/2008 alle 07:50

Leggo questa poesia come una dimostrazione di fede tacita e profonda.
Hai colto il senso con uno stile originale.
I miei complimenti...

il 31/07/2008 alle 09:57