Materna e potente la grande libellula
si libra sospesa nell’aria frastagliata.
Ed io mi stringo nel suo ventre,
le ali ripiegate e pesanti, in attesa.
Non ho paura di volare, di aprire la
porta sul cielo e lasciarmi cadere.
Corpo senza peso, mente senza pensiero
sono soltanto creatura che nasce all’ignoto.
E salto alla fine, mi getto nel vuoto
infinito abbraccio di un mondo,
dove il tempo si ferma e la luce
inonda le mie mani protese nel cielo.
Non c’è più respiro, né suono o tormento.
È solo la vita che cerca sé stessa,
immersa nel sole e nel vento che prende
alla gola e stordisce ferendoti gli occhi.
E guardo all’intorno l’incanto del mondo,
i monti e le valli, lo specchio del lago
e nuvole e cielo e colori e suoni sognati,
e nuoto nell’aria, e sfioro il mio viso.
Sorrido e cado e mi lascio abbracciare
da ogni carezza che sento sul corpo.
E’ piacere, tensione, orgasmo imprevisto
diverso, più intenso di ogni piacere.
E’ tutto, natura e potere, incredibile oblio
di ogni terrena miseria, è volo di aquila
fiera e potente, abbandono in braccia
pietose e avvolgenti e amorose.
Il cuore si ferma e grido con urla di gioia,
la voce si perde lontana e rimbomba
tra suoni di lievi cascate, fruscii di chiome
in verdi foreste che vedo vicine e frementi.
Non voglio finire il mio volo, arrestare
il magico incontro col cielo.
E come ubriaca di sole mi volto a guardare
per l’ultima volta il mondo che vive.
La terra è vicina, contorni distinti
di case e fienili, disegno di strade
formiche la gente e penso: è finita,
il corpo mi lascia, la vita mi sfugge.
Ma apro pietosa la vela, le ali piegate
si aprono lievi e leggere e portano
sogni e speranze a planare serene
dove il corpo e la mente ritornano miei.
Il mio primo lancio col paracadute.