Al primo sorseggiar di vita ne fu dell’io uno svantaggio continuo

Capii lo storno non era stato compiuto misero atto di pietà a me

In solitudini neonate cercavo risposte al natural domandare

Accostai lentamente la mia vita ai cani d’autostrada nei bordi

Paure avevo che d’ogni uomo il male era nascosto ed’io solo ero

Che si piange quando l’essere non sa del dolore

Rattristamenti mai ne furon causa a lamenti di pensieri

Deste a me in mano un sol colore con esso dipinsi il mondo

Di tal volte mi chiedevo sbalordendo che è l’infelicità di voi

Per me lo era lo sbucciar d’un ginocchio sopra sassi

Crescendo vidi mondo e cambiamento strano dei miei occhi

Gente sorrideva laddove io invece alcunché provavo

Rimasi sasso spesso d’innanzi a normalità incredula che vidi

Tutta l’esplosione avvenne alla lettura di Roma antica

Dovè la mia lupa?

M’accorsi realizzai in che sventura io m’ero immerso

Eccolo il sol colore che nome non ha di cui v’era normalità

Tonalità di fango in pozzanghera chinata a radice d’albero

Dunque di li fu facile calpestarmi ero oro per gli affamati

Ero facile preda di sottomissione frustata al non potere

Finché di tartaruga ne imparai le cadute tremende e sbilanciate

Non decisi di esser uomo in gabbia ma guardiano d’un faro

Luce di chi luce non ha mai avuto tutt'oggi io la dono dal mio cuore.

carlito