Giro per le vie polverose
nella vecchia città piena delle facciate
delle chiese e degli archi romani e trovo
un pozzo blu, i lati lisci come gesso,
inclinato colle tegole, un’estensione
rotonda dove il passato e il presente
si raffreddano. Le anfore e le urne di fianco,
le donne si riuniscono per il rituale quotidiano,
lo scorrere della vita, lo scambio
della modestia intrecciato con i saluti
nel calore di mezzogiorno. Loquaci e vivaci,
le secchie tuffano, le corde si abbassano, una
donna si inginocchia all’acqua rovesciata,
la sua maniglia luccica come una moneta
lucida che affascina dal marciapiede.
La presenza della fonte indefinibile,
il pozzo, che dà dai passaggi sotterranei
muovendo verso gli inferi, scuri e freddi,
cercando l'aquedotto. Un’espressione
naturale, echi segreti delle confessioni
mormoranti, l'unità purissima, un’altra
donna guarda lo spigolo e bisbiglia
alle gocce, che cosa può offrirmi?
Una vitalità al foro pieno di attività,
un riempimento dal profondo, poi succede
un sollevamento improvviso d’aria, su,
per le promesse nelle mani a forma di coppa
e un fremito dei labbri, fluisce alle cupole
vermiglie fuori portata visiva, ritorna
e si stabilisce sulla forma consacrata dal tempo.