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Pubblicata il 13/06/2002
Il fiume nostro scorre alle radici delle tombe
Sepolto sotto il pavé, sotto metri di cemento

Le case nostre sono sbiadite, silenti e pazienti
I nostri portici, le nostre strade, piangono al buio

I nostri voli, i nostri ghigni, gli amorazzi altrui
Riposano al buio, sotto nomi di Santi inquietanti

Un qualche martire strano s'immolò contro una colonna
Il suo sangue sulle gradinate continua a scorrere

Sempre alle lune notturne qualche pazzo ulula
Ma i nostri assorti pazzi vaganti fanno ridere

Le nostre piazze garriscono a Maggio di bandiere
Un popolo venuto dal mare conquista i caffè

Nei nostri antichissimi atenei tutto un popolo
Studia incunaboli di lettere sghembe a luce di lanterna

I tiranni pasciuti, sono gli zar delle nostre osterie
Forse controllano il vento e l'erba sterile, anche

E sempre qualche poeta svenuto starà ai tavoli
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Mi piace questa poesia. Sia per il soggetto, che emblematicamente connota di chiaro-scuri l'essenza di una (ma di tutte) le grandi città; sia per la forte capacità espressiva di un sentimento vero e scorato. L'uso della parola è sapiente. Il quadro d'assieme molto efficace. Complimenti.
Un saluto.
Max

il 13/06/2002 alle 11:20