Ho steso i miei lerci panni di toppe e ricuciture
proprio in barba all’oceano immenso,
ad asciugare al vento, a questi lividi raggi di sole
come bandiere di resa nel ventre azzurro
in cui sprofondo con tutta la malinconia che ho in corpo
in un vorticoso andare per mulinelli concentrici.
Ho girato e rigirato le mie dita affusolate
nella piaga sempre aperta, sempre viva di un passato invadente,
come un boomerang arcuato che scagliato via nel cielo
va per un niente infinito a rintanarsi in anfratti angusti
per poi ritornare a colpire nell’improvviso frangente
in cui prendo coscienza dell’illogicità degli attimi vissuti,
dei ricatti d’amore che per me tessi, mia frigida Penelope,
delle catene che mi stringi ai polsi come fossero portafortuna
e delle lacrime versate con cui mi ribattezzi ancora una volta
figlio di un Dio che solo sofferenze ha saputo darmi e null’altro più.
Ed io odio la vecchiezza e tutte le sue forme d’arte.