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Pubblicata il 26/05/2002
"Era una tua prozia, suora
dolce, cara, gentile.
Andremo a portarle un fiore
sulla sua tomba"
E varcata la soglia dei cipressi
tra ammonimenti all'eternità
e miriadi di caduti in guerra
lontani dalla loro patria
e dalle loro amate d'un tempo,
morti per una causa
che svanisce tra l'erba
e deboli raggi di sole,
attraversate altre tombe
d'uomini e donne
morti negli anni,
ecco il tuo loculo
marmoreo.
Non conoscendoti
sulla tua foto deporrò
un giglio di purezza
e nei ricordi dei tuoi cari
coglierò la tua vita, l'amore
che ancora continua
- non dimenticato -
nel cuore di chi ti ha conosciuto.
E in quell'amore
mi conforterò della tua
muta assenza.
Diversi anni dopo
tornerò da te,
perché sarai trasferita
nell'ossario.
"Era una cara donna"
ripetono
"vive dei fiori del Paradiso"
queste sono
le parole dell'attesa.
Quando ecco arrivano
due uomini
che accompagneranno
il tuo corpo
in una sede più piccola.
No, prima di te
è da trasferire
un bambino,
di cinque anni,
morto decenni fa,
una piccola bara
e me ne vado per non capire
cosa fanno di quella scarpina
logorata e consumata
da cui cade
sabbia nera.
Quando, ecco, cara zia,
tocca a te
dovrò
sostenere il tuo sguardo
mai veduto perché
moristi prima ch'io nascessi.
"Possiamo?"
fanno i due uomini
e noi accenniamo.
Il martello spacca il marmo,
e l'eco buia della tua tomba
mi auguro che tu non senta.
Mia madre in silenzio prega.
E dopo la pietra frantumata
portano fuori il legno fradicio,
e il grigio del metallo
che ancora ti copre
è quasi verde, non colore
del tempo futuro
ma del tempo trascorso.
Si avventa uno dei due
sopra la tua tomba,
ed è il rumore del martello
che squarcia, apre
e diffonde l'odore,
un fazzoletto sul volto
non basta a coprirlo,
sgradevole come il rumore
che ti profana,
non c'è riguardo per te
- ma dimenticavo,
è il loro lavoro,
ne hanno visti altri come te,
e c'era il bimbo di prima -
Ora zia, quando ti vedo
tutto sfugge alla comprensione,
pensavo a te dolce pur nella morte,
e invece è solo un ghigno beffardo,
muto che raggela quel che ti copre,
uno scheletro ingiallito
nel velo marrone usurato.
E l'odore, la polvere...
Zia non mi guardare così,
che senso ha quel tuo corpo
dilaniato senza pietà
da chi lo strappa per spostarlo?
Via l'osso della mano,
non si stacca, e con un po'
di violenza se ne va,
e così tutta, tu te ne vai
e in me è brivido,
inaspettato, inspiegabile.
Non ti ho conosciuto, zia,
ma dov'è
quel che mi han raccontato di te?
Nel tuo ghigno stravolto?
Eri una persona, come tutti noi?
Hai vissuto, hai amato,
hai riso, hai pianto?
Tu che ti disintegri
nel vento del tempo
che tutto porta via?
Ho visto altre morti
ma ancora nel loro corpo pur gelido,
ho visto corpi dilaniati
ma ancora di parvenza umana,
ma solo in te, zia,
capirò,
tu sei l'inquietante
domanda
- la provocazione e lo scherno -
del nulla.

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