Qui seduto,spalle al verde
giardinetto della stazione,
spalle alla grossa acquila,
a tutte le sue penne di bronzo,
percepisco l'odore dell'erba
che puzza
come ascelle secolari,
puzza come agli inizi
degli sconfinati prati;
e con sospetto annuso
tutte le ascelle
e non sanno di niente,
annuso il tempo della tristezza
senza precisa pretesa,
senza il bisogno
di credermi vivo
in mezzo ai vivi:
anime sparse per strade pazze
schiavi del tempo.
E capisco l'importanza
del mio polso
attraverso le narici
che sanno vedere
la piu' intima bellezza dei fiori
l'arroganza delle formiche,
e mi svelo
visionario
di visioni astruse
di intimi ghirigori
di mantra e arabeschi
divagando,cosi',e
funamboleggiando:
i miei fili
sono attimi di paura lucidita'.
E sempre da qui
seduto da un tempo immenso
comincio a valutare
il peso delle foglie cadendo,
che muoiono rosse
o gialle
e il perche' di questo.
Poi vedo cadere una foglia
in mezzo a tutte una sola
come una piuma
dolcemente piano
e tutta ancora verde.
Cosi',mi alzo,
saluto le penne di bronzo
e felice finalmente
impazzisco.