A quest’ora scendeva la sera
nel giardino antico della tua casa.
La porta a rete si rinchiudeva
sbattendo alle tue spalle
e quel rumore metteva in risalto
la luce screziata del tramonto
che la catturava in un alone dorato.
Estasiato,
ti vedo ancora col malinconico sguardo rivolto a loro:
le rondini.
Le rondini garrivano assordanti.
Garrivano,
garrivano parole d’addio guizzando veloci
come spole di febbrili telai,
incitando le piccole migranti a levarsi.
Una, l’ultima, rimasta in alto
assetata di chiarore non curante delle altre,
sembrava divorare le immagini
imprimendo nella sua mente
il meraviglioso quadro che la natura
aveva composto per lei prima della partenza,
memorizzando il luogo del ritorno.
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole,
le seguivi col pensiero
e nel tramonto ti illuminavi
dello stesso colore del Manzani.
E infine si fece porpora,
il giorno dorato che finalmente cedeva alla sera
e la luna morente,
pallida e sottile come un amo d’osso,
si portava via la giornata che camminava a far buio.
Così d’incanto nell’aria dolce,
il ronzio incessante degli insetti si chetò
e il silenzio ci coprì d’intimità.