Ti voglio bene contadino sporco e strappato
con la pelle riarsa dal sole
mentre vanghi e zappi senza mai riposare.
Ti rivedo quando entravi in cucina
e la mamma con sguardo sereno
ti passava l’asciugamano
per asciugarti quei ditoni forti e neri.
Ti sedevi vicino al camino
per fare uno spuntino, pane e assogna
con la fiasca del vino sempre piena.
C’era tanto lavoro nei campi
e quando tornavi a casa
con la legna sulle spalle
ti si curvava la stanca schiena.
La sera ti osservavo
mentre mungevi le pecore
e col latte poi fare la ricotta e formaggio.
La mamma oltre che occuparsi di noi
e della casa
aveva altri mille compiti,
la ricordo con la manovella
mentre macinava quintali di pomodoro
poi mettere le bottiglie nel callaro
e farli cuocere
ed il sugo ci bastava per tutto l’anno.
A me lasciavi piccoli lavori:
tagliare l’erba per i conigli,
governare il maiale e le galline,
annaffiare l’orto e non combinare guai.
La poesia che scrivo ora è per me
per ricordare da dove provengo.
Le mie origini umili sono pietre miliari,
la ricchezza che posseggo
è sapere chi sono,
ogni ricordo lega il mio oggi al mio ieri
e dentro il segnavia
della mia coscienza comanda a ogni bivio.