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Pubblicata il 08/01/2005
La mia mente era ancora illuminata da quella lieve figura che mi prese per mano e mi accompagnò fino a lasciarmi solo nel buio.
Pian piano i miei occhi si adattarono all'oscurità.
C'era qualcosa di innaturale in quel paesaggio.
Davanti a me giaceva un sentiero che si innalzava e scompariva dietro una collina quasi deserta se non fosse stato per un albero dai rami nodosi e spogli.
Il sentiero creava come una rottura in una radura d'erba irregolare, coperta da una soffice fuliggine biancastra.
Dietro di me il buio più totale, non una luce, non una forma, niente.
Il cielo era di colore viola, con qualche nuvola solitaria che si muoveva velocemente, mossa da un vento che io non riuscivo a percepire.
Dentro di me qualcosa mi induceva a procedere in avanti, ma nonostante il dubbio, decisi di ascoltare quella voce.
E' inceredibile come un uomo si possa ritrovare in un luogo così insolito, in cammino verso una meta imprecisata, la cui unica luce è la speranza di capire il senso di ciò che lo circonda.
Il mio avanzare tradiva i miei pensieri. Era un avanzare timoroso che echeggiava tutt'intorno nella fredda nebbia oscura.
Nonostante tutto fosse fermo, percepivo una sorta di movimento, ma ben presto capii che era il naturale scorrere dei pensieri nella mia mente, un dinamismo familiare accompagnato dal battito lievemente accellerato del mio cuore ammalato dall'infanzia.
Una goccia di sudore scorreva sul mio viso e nel toglierla mi accorsi di avere ancora gli occhiali, quegli stessi occhiali rettangolari che avevo riposto come ogni sera sul comodino, alla destra del mio letto.
Tutto ciò che ricordavo era l'istante in cui appoggiai la testa sul cuscino, stanco della giornata di lavoro che aveva preceduto quel riposo. Ricordavo le pratiche da sbrigare, quella lieve barba che avrei raso la mattina seguente, gli occhi della mia ragazza, i più luminosi che io abbia mai visto in un volto femminile. Mi mancava e avrei voluto urlare il suo nome, ma il timore di richiamare a me l'attenzione di ciò che mi circondava me lo impediva.
Sebbene queste fossero le uniche cose che riuscissi a ricordare, non potevo credere di essere immerso in un sogno, tutto infatti era troppo reale per poter essere un sogno.
Nonostante la paura dell'ignoto paesaggio, mi sentivo in parte confortato dal soffice terreno che stavo calpestando nel camminare e più di ogni altra cosa quel mio avanzare mi ricordava la neve, la cosa che più adoro al mondo.
Ebbi come l'impressione che nel muovermi il paesaggio si muovesse con me: i contorni delle cose, l'orizzonte, le ombre, come se non fossi solo e prima di rendermene pienamente conto d'improvviso mi sentii affaticato ed asausto. Inspiegabilmente caddi, completamente avvolto dall'oscurità, immerso in un candido abbraccio.
Chiusi gli occhi.
Ad un tratto il risveglio: Ero supino in un giaciglio che non conoscevo ed ero circondato da alcune figure dai contorni sfuocati. Seppur privo di occhiali ben presto mi resi conto di essere disteso in un letto d'ospedale e circondato dalle persone a me più care.
Un anno lontano dal mio lavoro.
Il mio cuore ormai malato.
Mi avrebbero aspettato alcuni giorni di riabilitazione, ma non ero più solo sotto un cielo color porpora, ma accompagnato da un Angelo dagli occhi color mare.
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Lo conservo in me e difficilmente se ne andrà...
ciao.

.Mene.

il 15/01/2005 alle 13:18

continua...marealto

il 06/11/2005 alle 20:31

ti mando un sorriso e ti ringrazio.
Mene.

il 06/11/2005 alle 20:34

ho letto ancora. Trovo che alcuni passi siano da ripulire, cerca di usare più vocaboli possibili, cerca i sinonimi, è il modo migliore per disorientare il censore che è in te e che a volte frena lo scorrere delle parole. Sicuramente c'è dolore e questo è positivo: dove non c'è dolore non c'è ispirazione e fatica a raccontare. Ora dimmi : hai creato dal nulla o è autobiografico? perchè se è autobiografico allora il dolore è anche fisicità oltre che testa...mi piace cmq...marealto

il 06/11/2005 alle 20:36

in realtà l'idea è partita da un sogno, volevo partire dal luogo starno e oscuro per poi passare ad altro...il problema è che non sapevo cosa fosse l' "altro". Perciò ho dovuto tagliare e arrivare alla conclusione, che non è autobiografica. ecco il perchè della brevità di cui ti parlavo.
Mene.

il 06/11/2005 alle 20:39