(pretenziosa appendice a “La poesia” di E. Montale, Satura I)
Non riempie
le tasche del farmacista
e non ha una ricetta
decisa a monte, la poesia.
Non si prende per mesi
dopo i pasti come Proust
o le sorelle Bronte, pastiglie
dolci amare di tempi ricchi
solo d’attese pedanti
e d’esangui fasti.
La poesia non snerva
con volumetti intramuscolari
da dosarsi in branda,
pavidi e pigri
marcanti visita
per l’ansia da lettura.
Non è nemmeno l’agopuntura
dei pensieri di Nietzsche
o l’omeopatico sciroppo
manzoniano.
La poesia
non opera la lobotomia
per esaltare corride
o vendette d’ogni sorta,
Non indora la pillola
della caccia all’elefante
e non affretta l’eutanasia
del cane davanti alla slitta
o del cavallo straziato dalla corsa
solo per figurare uomo
il comunque meschino
personaggio.
Perché la poesia è
e non figura.
Da essa soltanto traspare
l’anima compiuta.
Alla poesia,
per risorgere da un appunto,
da tempo stropicciato,
basta il tuo calore
e poche gocce che, al buio,
scivolano
lungo il lucernaio.
(26 gennaio 1998 – 1 dicembre 2004)