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Pubblicata il 22/02/2002





Fino all'ultima sfera
del fuoco della vista
sei steso: stai pacato in apparenza.

Giunge come un sacrilegio
lungo le tue rotte indecifrabili
lasciar le nostre orme.

Fortuna che a volte dei soffi di genio
prendano a plasmare
la tua mutevolezza
in nuove e serene
perfezioni.

Il complemento al blu
dimesso del cielo
nel più grande soliloquio.

Avrà mai la Terra
il tuo volto
senza più lacrime?

Cammino nel concerto
di un'arpa e un pianoforte.
Infine la mia morte
acquista in te, Deserto.


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"Fortuna che a volte dei soffi di genio"
si manifestino in componimenti del genere, che lasciano copioni a molte dimensioni nell'animo di chi le legge, probabilmente accendono nuove "stelle" nell'animo a seconda di come viene interiorizzato il tuo eloquio, filtrato quindi dalla personale esperienza mentale. Assisto in questa poesia in una contemplazione del creato che è quasi sacrilegio violare nel tentativo di conoscere e forse di "volere" plasmato in una realtà più dolce, come quella raggiungibile con la morte, (a meno che questa non la intendi come fuga finale dalla realtà pesante?)
O questa è un'interpretazione troppo spinta oltre il tuo intendimento?
Ciao e vivissimi complimenti per i tuoi "colpi di genio"!
Axel

il 23/02/2002 alle 11:38

Direi che vederlo plasmato in una realtà + dolce di quella che gli è propria non è possibile, anzi la sua serenità (l'apparenza di pacatezza è il segno della mia inquietudine, forse...) è attraente fino a far desiderare la morte a chi vi si addentra, anche se in un viaggio mentale come questo. Poi mi domando anzi se la Terra mai raggiungerà il suo equilibrio, la sua imperturbabilità. Per il resto hai detto tutto tu.
Ma io non sono un genio, il genio è solo il vento qui. Belle sono le persone che sanno vedere il bello anche in cosette come queste poesiole.
Grazie infinite
Dario

il 23/02/2002 alle 12:37