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Pubblicata il 08/06/2001
È lontano il tempo di fioritura e mai sarà
per l’opera mia che con mani d’artista ho creato
e sudato e rimirato nei giorni di passione che sembravano eterni.
Sotto le mie mani sentirla mia,
far parte del cuore e del mio cammino
che complici percorrevamo silenziosi.
Fugace da prima e complessa poi,
è nata dalla mia passione col suo splendore,
modellata da queste mani tremolanti d’inesperto
ed inesperto di parole timorose.

E come i rami del pino carichi di neve,
che pazientano sopportando il peso della soffice bianca,
così rimango in attesa davanti ad essa,
in attesa del suo compimento.
Ed è come una perenne ricerca,
ed è come se non volessi compierla,
ed è come se le parole appositamente mancassero,
perché terminata l’opera non sarà più mia.

La morte.
E’ questa paura che tiene incollato il pugno sui fogli miei,
perché so che me ne andrò,
perché so che il mondo terreno non mi apparterrà più,
se non quando l’opera giunta al suo culmine,
sarà ammirata,
ed allora essa sarà la mia voce in terra ed essa vedrà con i miei occhi l’amore che io stesso avevo cantato.

Mai avrà fioritura l’opera,
mai l’avrà, perché fiorire è poi appassire,
perché nascere è poi morire.
E allora mai più sarà mia.

Mia era quando, chino e col viso scuro,
il palmo mio scorreva sul bianco foglio.
Mia era quando le passioni e i sentimenti rincorrevan le parole
e sgorgavano dall’inchiostro nero di sofferenza.

E nel veder l’opera mia terminata, l’impotenza m’assale,
ed è più grande della passata passione.
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