emerge dalle fogne sotterranee la poesia
con le gambe di metallo, instabili,
a evitare bocche d'asfalto che la pioggia squarcia
in agosto, a sfiorare l'abisso bendato di luce violenta;
s'avanza, la poesia, sbattendo la porta
di un saloon addormentato nell'alcol,
dove sagome grigie giocano a carte fino all'alba,
accarezzandosi la pancia pelosa,
spostando il ciuffo unto
di fumo e sudore; la poesia è un tram
che deraglia devastando, la poesia è un bicchiere
mezzo pieno che scivola sul bancone umido,
poesia è la notte che cigola...
la poesia è una radice
profonda, poesia è il cerone
dimenticato dal clown
suicida...
la poesia è un treno senza conducente
che, sporco, si perde lontano,
l'inferno che mi scalda
le labbra, cenere che sanguina ancora pietà;
la poesia passeggia scalza
tra i vicoli, libera, come un gatto
randagio che si gratta
sulla trave traballante
di un'impalcatura abbandonata,
non profuma di sonno
ma tuona nel deserto le sue urla arroventate;
la poesia è un criminale
che fa l'autostop nascondendo cicatrici
mentre rotolano lune
come fottuti covoni di fieno,
in disparte
ubriache...
la poesia è bufera, la poesia è un barbone
che vomita
sangue
imprecando...
ma non m'importa di niente, ora,
e sfoglio Van Gogh,
lentamente,
ingoiando
l'immagine
gelida,
sussurrandomi disperato stupore