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Pubblicata il 26/09/2004
Accatastando frasche all’inverno
il crollo della sporta di fichi d’india
giù per i massi, come caduta di pensiero
è fine, la chiusura dei campi zebrati
a fuoco. La cenere respira il mio cuore.

Oh tu che sei sveglia sulla roccia arcana
puntami il dardo contro.
e morte non ci separi.

E mai il cielo piove.




Descrivo ciò che ho inserito:
Già con l’inizio della composizione m’indirizzo con il pensiero all’inizio dell’autunno, alla fine dell’estate.
La chiusura della natura, dei campi (zebrati perché a fine stagione viene bruciato il residuo del raccolto del grano).
Per l’uomo l’inverno è come l’assenza dell’amore, l’isolamento, il non essere amati. L’accatastamento delle frasche raffigura l’accumulo dell’inutilità, l’ammasso di ciò che è sterile.
La sporta che ruzzola lungo i blocchi di roccia è il tentativo perso di un raccolto d’amore, che per cattiva sorte si perde in questa incomunicabilità e quindi il pensiero cede e si smarrisce in quest’abisso.
Sul finale, Lei è la donna ignota, sognata, come la primavera, che come Cupido dovrebbe puntare il suo dardo amoroso verso l’uomo gelido, verso la depressione.
Ma il titolo si racchiude tutto sull’ultimo verso. Nella mia terra, ormai il cielo a stento piove, come se vuole prolungare la stagione fredda, il silenzio e questo distacco. La primavera o l’estate si prospettano caldi, ma in fondo seccano e inaridiscono i campi, senza ripresa, senza riapertura, come l’inverno sui rami.
L’uomo sogna in un’unica stagione, uno schiacciato corso vitale, solo il pianto riesce a vivere (una getto d’acqua di piena speranza).
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