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Pubblicata il 09/05/2004
Rimpatria, un ramo
d'ogni anima
in qualunque tramonto
caduto, in un singhiozzo
sbraita una madre.
Alla tracolla d'un combattente
trucidato, si concede pace
l'ultimo viaggio, consumarsi
attraverso una nuvola
di sangue senza colore.
Cala la nebbia
d'ossa, tenerci serrata
la tribolazione d'avere
in orrore, la morte
nascere come perfezioni.
Eccedono confitte monotone
croci, d'un'unica uniforme
unica sorte
negli eterni campi
negli immortali pianti.
Si mostrano pali di cemento
scorporati d'uva
in un vigneto d'inverno
ad innalzare il livello del colle.
Ormai si è sprecato
quel vino rosso,
quei grappoli di vite spartite
impastandosi nei spasmi dei prati
con i massi, persone insensibili
addosso ad una fossa
d'amnesia.
E si attorcono fiori
in una ghirlanda da stendere
sul pianto trascritto
d'invocazioni;
or ora non c'è più miraggio
di portare a casa la pelle.
Perché è mezzanotte
in un vento di tramontana
lambire ogni corpo
che tornerà in vita
come un'arida foglia
incontrare il principio,
come un lume
render lieta la soluzione
che riemerge in ogni gente
dopo il trapasso.
Anche se ogni seme
di guerra, ora è in letargo
non cessa di soffrire
è pronto a germogliare
in una persuasa idiozia.
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