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Utente eliminato
Pubblicata il 28/04/2004
CAPITOLO III



Davide e Matteo


Per strada non c'era nessuno. Tutto sembrava uguale e inutile, e sapevo di essere parte di quel tutto che mi divertivo a giudicare ogni volta, ogni volta in maniera diversa. I primi bar aprivano, cercando di non far troppo rumore: era l'ora della pennichella domenicale. Io passeggiavo automaticamente, senza una meta precisa, ero nervoso, temevo potesse accadere qualcosa al funerale senza la mia presenza: mia sorella era troppo debole per fronteggiare tutte quelle iene da sola, e poi era un tipo compassionevole, ingenuo e ancor di più, pensai, in situazioni simili. Sarebbe stata capace di piangere sulla spalle del padre. Sicuro. Fatti suoi, pensai, non m'importa di lei, non m'importa di lui, né di tutti quelli che piangeranno al funerale spendendo buone parole su chi non c'è più, ipocritamente.
Amavo perdermi nei vicoli sconosciuti, senza luce e senza nome, mi assomigliavano, e rallentavo e li osservavo nei minimi particolari. Così feci quella domenica. Bellissime quelle stradine non asfaltate e polverose, sapevano d’antico e d’incontaminato, ma quella felicità era di breve durata, un centinaio di passi solitari, al massimo, tra pianterreni e palazzine ad uso familiare.
" Attento! " sentii gridare all'improvviso dall'alto. Mi guardai attorno rapidamente e da un'arcata di pietra grigia vidi rotolare verso di me una palla rossa, a tutta velocità, e dietro la palla due ragazzini sudati vestiti di tutto punto da calciatori. Stoppai il pallone, come ai vecchi tempi, e mi esibii in un palleggio, da fermo, con le mani in tasca, sotto gli occhi stupefatti dei ragazzini e della signora che dall'alto commentò " Bravo, ma ora restituisca il pallone..non vorrei che.." . Mi avvicinai ai due ragazzini e fermai il pallone con la suola del piede destro. Ora lo restituisco, pensai. Poi, cambiai idea: " Sfida all'americana? " feci con un sorriso malizioso che mi arricciò le labbra come burro fresco. Capirono al volo. Accettarono. Si batterono come eroi quei due ragazzetti. Facemmo amicizia. Si chiamavano Davide e Matteo. Sapevano di essere più deboli, ma unirono le forze sebbene tifassero per due squadre diverse. Incredibile. Sudarono come matti, e un pò sudai anch'io, correvano come pazzi quei due. E poi non ero abituato a tanto movimento. Ero felice.
" Forza ragazzi, tutto qui? ", provocai,
" Ora ti faccio vedere io! " rispose col fiatone Matteo e corse deciso verso di me, col faccione rosso e la pancia che traballava tutta.
" Io vado in porta..non si sa mai.." fece Davide, sembrava il più responsabile dei due, e non aveva tutti i torti. Presi la mira, con una finta mi liberai di Matteo che si fermò sfinito, e con un pallonetto, semplice ed elegante scavalcai Davide.
" Goal!! " gridai, e abbozzai un aeroplano per l'occasione. I ragazzi, sebbene sconfitti, mi imitarono imitando il calciatore, e mi seguirono sorridendo.
" Ragazzi tornate su, i panini sono pronti, forza, salutate il signore che è stato tanto gentile da giocare con voi e salite su.." ci interruppe la mamma, una signora bionda dagli occhi tristi sulla trentina. " Grazie signore " fecero allora i ragazzini all'unisono. " Signore? Fabio, mi chiamo Fabio...grazie a voi, erano anni che non toccavo un pallone.." risposi, e aggiunsi "..un giorno di questi ripasso da queste parti per la rivincita, ok? Però, nel frattempo allenatevi, mi raccomando eh..!",
" Certo signore, non ci segnerai più! " e sparirono su per le scale rincorrendosi.
Alzai lo sguardo verso il balcone della signora bionda, ma non vidi nessuno, chissà, forse, mi guardava ancora, nascosta dietro la tenda.
Tornai sui miei passi, infilai le mani in tasca, alzai il bavero dell'impermeabile e mi affacciai sulla strada principale che incominciava a illuminarsi, automaticamente; all'improvviso sfrecciarono due fuoristrada, sollevando polvere e volantini pubblicitari. Giocavano a sorpassarsi, in città. Sorrisi, come di pietà.
Poi guardai l'orologio. Il funerale era cominciato da un quarto d’ora circa. Attraversai. La chiesa era lontana, ripensai a mia sorella, ripensai a mia madre, ripensai a tutto, in pochi secondi, con la memoria che non smetteva di sfornare vecchie immagini e calde e dolorose, quasi volesse farmi del male. O forse erano messaggi che dovevo interpretare.
Svoltai a destra, rapidamente, attraversai la parte vecchia della città, con lo sguardo fisso per terra, a pensare, a contare i passi che mancavano. Avevo paura. Il cuore prese a battermi forte, sembrava pronto per esplodermi in gola. Tossii. Le gambe tremavano. Svoltai a sinistra, presi una scorciatoia. Attraversai quella stradina col naso tappato: puzzava, di carogne.
Attraversai nuovamente, lasciandomi alle spalle il benzinaio. C'ero quasi. Salii gli scalini, spalancai le porte con due mani ed entrai.
Mia sorella era per terra, svenuta.






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Ma Vittorio dov' è Vittorio?
I see you later...

il 29/04/2004 alle 08:47