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Pubblicata il 24/04/2004
Nel buio, fra un lampo ed un altro,
credo di riconoscerti,
disperazione.

Molto, molto è passato di tua vita e mia
dall’ultima volta che mi cercasti
e mi trovasti,
preda delle tue lunghe mani
che forse vorrebbero solo accarezzare
e non dilaniare.

Laggiù, in un angolo, avvolta in un manto
di neri ricordi e sensazione,
di mute grida e urla di dolore,
chiusa in una nebbia di solitudine e commiserazione,
stringendoti al petto un figlio mai partorito,
donatoti da Dio per pietà del tuo inutile
vagare di cuore in cuore,
di casa in casa, per ripagarti
della sterilità di idee e di pensieri,

ti vedo.

Perché sei qui?
Cosa vuoi da me?
Perché apri il tuo nero scialle attirandomi a te?
Perché mi avvolgi nella tua fitta nebbia d’incubo?

Nulla io ti chiedo,
nulla mi puoi offrire.
A te, io cosa posso dare?
Dolore e lacrime per il tuo manto?
Qualcuno si è sottratto al tuo abbraccio
e ora vuoi ghermire me?
Oppure vuoi i miei pensieri tristi e disperati
per infittire la tua nebbia?

Non le mie lacrime, non i miei pensieri
colmeranno le tue lacune!

Le mie lacrime per me sono versate,
per le parole non dette, per i sorrisi mancati
per ciò che ho dato senza ricevere
che ho sofferto senza contraccambiare



Ché, sogghigni? Non puoi comprendere tu,
sterile creatura,
la fecondità del mio cuore?
Non sai come vi possa nascere e germogliare
amore,
odio,
ritrosia,
affetto?

Tu, triste e nera figura di donna,
avvolta di nebbia,
madre del figlio che ti stringi al petto,
pur non avendolo partorito,
tu, generatrice senza amore,
tu, maligno tumore dell’animo umano,
tu, povera creatura senza pace e senza casa,

tu lasciami,

che troppo amo e troppo vivo
per poter tollerare oltre la tua presenza!

Fuggi lontano,
laddove non possa raggiungerti la mia voce,
da dove tu non possa più ripartire
per raggiungermi.
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