A che serve
consolarsi con paradisi perduti
- chissà dove, poi -
e non sentire quell'odore
di morte, di nulla,
aleggiare nell'aria stanca
di musiche marce e pesanti?
Io, non lo so. Ci penso.
Sarà il tempo,
la debolezza
di chi non decide mai
"..perché tanto c'è tempo..".
Sì, è così.
Non sono versi buoni, questi.
Non i migliori. Sicuro. Manca qualcosa.
Stanotte non si quaglia nulla,
si sente nell'aria, non c'è la disperazione
giusta, quella nausea che gorgoglia
dappertutto e tinge i muri
e gli sguardi di vuoto.
Sguardi che pulsano,
ancòra,
- immobili -
di storie che non restano,
ma galleggiano,
e si fregiano
d'inutili particolari,
ad hoc.
Forse, serve raccontare
le proprie miserie
a chi finge di capire
tutto di te. Non lo so. Dicono.
" C'è chi ha esperienza,
più esperienza di te, capisci..".
Già, le esperienze,
ora così chiamano
gli errori che non si riescono a digerire,
il passato che ritorna, malvagio:
altri paradisi perduti, così,
per alleggerire l'anima
da naufragi comuni
di cui ora restano
solo macerie
e sguardi truccati d'amore.
Racconti e ti liberi,
provi a essere qualcosa
che vorresti, magari per un attimo
solo. Il racconto è finzione.
Ma stanotte non si può.
Manca l'atmosfera. E la pioggia?
Che me ne faccio del cielo stellato?!
Non si può guardare. Credetemi.
Questi fari puntati addosso
mi opprimono. Bleah!
Così non si può. Io non scrivo,
ci rinuncio; ho capito, è l'ora di Mozart.
Mi serve.
Vài Mozart, vài amico!
Che in fin dei conti
altro non mi resta che questo.
Sinfonie. Trambusti. Donne.
Coltelli fregiati d'infamia
e parole. Parole in cancrena.
E illusioni solo mie.
Bellissime.