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Utente eliminato
Pubblicata il 22/03/2004


L'acerbo Fato così decise:
ch'io nascessi, ahimè,
nel giorno stesso
( e querele udir
non volle!),
di William Shakespeare,
convinto che così,
almeno,
normale no, ma folle crescessi.


Ora, ride di gusto
se m'abbuio
chè Shakespeare non sono
nè tanto meno Baudelaire,
e si prende gioco di me
e recide ogni foglia
che al sole riverdica
e si vendica quando mi perdòno scrivendo;
come può, taglia,
eliminando
i personaggi che amo,
cambiando le vite:

mi presenta ritratti impeccabili
che si deformano
al contatto e mi travolgono
con le loro storie
distorte e perigliose
che m'infilano
in strettoie sfiorite
ed infiniti labirinti
in cui implodo lacrime e amarezze.

Nei sogni, poi, mi parlano
voci strane e familiari e dolcissime
e mi ricordano che scrivo ovunque,
come loro, e non mi gusto la vita
mai, come loro, e come loro
mille altre cose
che solo io so: dicono che non è un caso,
dicono che devo continuare,
e poi m'abbandonano. E penso.
Cambio posizione. Ma non riesco
più a riaddormentarmi;

mi sveglio all'improvviso
e inizio a scrivere. Non so cosa,
non so perché. Devo:


"...e bruciano rossinfette radici,
emanando miseria
e rugginosi fumi
che respirano verità
in quest'inferno di versi infelici. "



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