Nasci nei travagli campestri,
essendo segnato dagli astri,
come la natura,
umilmente nei prati,
Le prime luci già ti vedono baldo
e l’occhio brillante lascia i campi,
per vagare nei bianchi velli belanti,
ancora assonnati
con grosse teste chine,
negli scuri e secchi steli
di ferule antiche.
E poi stringevi con grosse
mani generose
su e giù
le tiepide sacche
di linfa vitale,
ecco il bianco latte!
Quante veglie tra i venti invernali,
nei mossi asfodeli giganti,
nel brullo sterrato giaciglio
ai tuoi cari pensavi.
Quanti caldi opprimenti meriggi
ti ho visto disteso assopito,
celato tra arbusti di mirto
o sotto l’ ombra materna
d'un leccio smarrito.
Ho sentito del tuo passo spavaldo
e largo tra secche radure di cisto,
solo il fruscio.
Nel cheto andare dell’acqua,
solevi bagnarti l’ispida faccia.
Ora scendi solerte
incurante dell’erba spinosa
dietro il tuo gregge paziente,
sotto un sole nascente.