Usciti dall’utero e confezionati col cellophane
ci hanno tolto la fame con bugie omogeneizzate
e la sete con liquidi trasparenti oligominerali
per poi soffocarci respirando spot pubblicitari.
Monitorati dai vicini di casa dietro le tende
che più si nascondono più si fanno vedere
ci sentiamo al centro d’una cieca attenzione
che guarda ma non vede cosa ci muove.
Sodomizzati da nuove ideologie o bandiere
e catalogati ognuno col suo codice a barre
ma tutti con le sbarre alle finestre con vista sul mare
d’inverno, a turno impariamo a dimenticare l’estate.
Siamo le gomme a terra delle auto rubate,
i preservati usati delle zone poco illuminate
e le mosche che si posano sulla merda.
Sintonizzati sulle frequenze delle stesse mode
cerchiamo un colore o almeno una direzione
in tutto questo brulicare d’ombre sotto il sole
intorno a punti di riferimento e pietre miliari.
Illuminati dalle luci psichedeliche di una città
vuota fuori ma piena dentro una stupida discoteca
dove si bucano anche con l’ago della bilancia
non sappiamo più quanti grammi pesa la felicità.
Torturati dai nostri vuoti dentro che ognuno ha
ed a corto di numeri ci vergogniamo dei limiti
che non sappiamo come ma dobbiamo superare
per far vedere d’essere più…più…e meno…
ma è soltanto una crisi esistenziale d’algebra.