PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 12/02/2004
24

Soffermandomi.
Di porta in porta
di cortile in cortile;
e chiedendo
a tutti
di dirmi chi sono;
e ricevendo solo risposte
di persone
che non lo sanno
comprendo che solo io
posso darmi questa risposta.


25

Una collina.
E’ una radura in mezzo ad una foresta.
Così grande da poter quasi contenere il mio io.
In piedi su di essa
guardo il manto erboso
immerso nella notte.
Luci.
A migliaia
si accendono nell’erba.
Lucciole.
Lentamente si alzano e mi invitano a partecipare
alla loro danza.
Correndo giù per il declivio
più veloce possibile
come se mi stessi liberando
di qualche cosa;
di una vita che non comprende
e non vuole farlo.
Mi unisco ai festeggiamenti.

Notte estiva tempestata di stelle.
Lucciole danzano nel grandissimo prato
immerso nell’oscurità.
Volteggiano
formando colonne di luce.
Un caldo vento trasporta petali di rose
da altri luoghi ed altri tempi
figli di una terra immota.
Chiarore che si riflette in essi.
Lucciole, stelle e luna li rendono visibili
attraverso il mantello oscuro.
Insetti e petali danzano insieme;
perfetto sposarsi di dicotomie naturali.
Mi accarezzano la faccia e ballano
con me.
Cado nell’erba alta
accarezzato da steli piegati
dal caldo sussurro di genti lontane.
Sentimenti diventano parte dell’insieme.
Il grande quadro è diventato unico.
Lucciole girano sulle mie mani e sul mio petto.
Mi girano intorno.
Petali si posano culle mie labbra
in un dolcissimo bacio;
non chiudo gli occhi per gustare il momento
poiché il non guardare lo spettacolo
che si stende davanti a me
sarebbe un modo per non viverlo.
Mi lascio inebriare
e mi fondo con ciò che mi circonda.



26

Aprii il mio cuore
fino alle lacrime in esso contenute.
Quell’immagine riflessa che pareva
non essere più la mia.
Più a fondo volevo vedermi.
Strappai i vestiti, rimasi nudo,
immobile
di fronte a quello specchio d’innaturale limpidezza.
Aspettandomi chissà quale cambiamento e metamorfosi;
chissà quale risposta…
Vano tentativo
di inutile presunzione.
Più a fondo
volevo scoprire cos’ero diventato.
Ancora non mi bastava
ciò che vedevo.
Mi lacerai il petto
fino a mettere a nudo il cuore.
Gocce purpuree
mi solcarono il corpo.
Gocce purpuree
mi solcarono il viso.
Un attimo interminabile
parse la caduta.
Il tempo fermatosi
per assaporare la fine di un suo figlio.
E mentre la terra
si avvicinava alla faccia
portandomi promesse
di putredine e decomposizione
un sorriso affiora sulle mie labbra.
Un sorriso di scherno e derisione.
Trovai infine le parole.
Trovai nella fine le parole.
Scrivevo per me stesso.
Avrei dovuto trovarle molto tempo addietro.
Ora era tardi,
non sarebbe comparso un angelo
per sorreggermi e farmi ascendere al cielo;
solo vermi e diavoli a straziare il mio corpo.
Ed ancora,
il fango sempre più imminente
e in quel sorriso
tutto ciò che avrei voluto dire.


27

Elizabeth

Immense città di gusto gotico
Brulicanti di vita
Incendiate al tramonto autunnale.
L’aria fredda
riscaldata da fiamme divampanti.
Guglie e minareti
anneriti dal fumo
ed ancor più dalle esalazioni
di spiriti macilenti.
Odore di legno bruciato
aleggia nell’aria,
seduta sopra un tetto
Elizabeth guarda il rogo
della sua città.
Urla di infanti
nella notte rischiarata.
Attraverso gli occhi di ghiaccio
guarda l’opera del suo braccio.


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