Ho domandato al tempo
di ritrarre l'aurora del mio volo di ieri,
sola ad osservare
una finestra piangere
lacrime impronunciate,
pioggia di Novembre che riga lo sguardo,
ne fa nebbia
sino a sanguinare,
impregnare,
scandire
veli di ricordi celati entro al cuore.

Il cielo si fa spento,
soltanto le note
di un sommesso lamento inciso del mio nome
l'eco che accompagna il silenzio
di istanti incolmati,
implacabili come onde di tempesta
bramose d'incendiarsi
e divampare un sorriso,
mentre rimane il vacuo fruscio
d'una gelida ombra confusa nella sabbia.

Orme saettanti retrocedono,
fuggono
sulla pellicola or sbiadita d'un pieno attimo
di unicità vissuto,
poco a poco svanito.
Lo vorrei trattenere come non mai,
vivido,
osando immaginare appena
di afferrarti la mano
in un lampo di stella cometa,
vestito d'azzurre ali permeate di speranza
per non lasciarti sedurre,
inebriare dal torpore d'un surreale oblio
privo di ritorno.

Piccola e indifesa rosa, Tu
fragile beltà un dì calpestata
da indomiti abissi d'effimere illusioni,
ti proteggerò,
Figlia,
entro me
sinché il mio respiro
avrà poesia fra le sue righe,
sinché i miei lumi potranno ancor donarti
arcobaleni da sognare
senza più i tuoi petali sfiorire.

Ed il vento d'inverno sarà dolce sussurro,
lieve carezza,
soffio d'eterno,
unite noi in un infinito abbraccio
serrato nei suoi occhi di vetro!