Con la pioggia che cade ora sincera non credo abbia un senso quella rosa rossa sul mio doppiopetto; ma tu mi accenni un sorriso e scopri i denti bianchi, così, senza pudore, e mi chiedo cosa è accaduto quest’oggi che tutto mi appare diverso. Ci sfioriamo le mani, e nell’aggrapparci a un ombrello la strada ci scorre ora galeotta sotto i nostri piedi. Da come mi guardi sento che c’è qualcosa tra noi: se non fosse così non offriresti il tuo profilo al vento, non tremeresti alle mani, a un tratto veloci.
Lungo il percorso, il suono di un sassofono ci aggredisce l’udito.
Si fonde nel piombo stagnante dai palazzi capovolti.
Corre e s’invola lungo e largo la via, cullando l’aria con ritmi incalzanti.
Echeggia e attecchisce nelle luci aggettanti di ricurvi lampioni, luci geminate a prismi diafani che comprimono il cielo e lo trasformano in un quarzo monolito.
Infine esplode riempiendo di note vagabonde quel tunnel slavato.
Tu d’un tratto ti fermi, tendi la mano al cielo che scorre e consegni lo sguardo al mio soffio vitale, che gira ora forte attorno all’ombrello: attorno all'ombrello.
Una forza s’incolla in un unico nucleo, lungo un passaggio di codificati messaggi; io possiedo la chiave di tanto mistero: mi avvicino e ti sfioro le labbra (e il sassofono echeggia più forte): e tu non chiudi gli occhi, ricevi passiva il mio sussurrato gesto d'amore, e semplicemente pieghi la testa di un lato, come un passero sull’asfalto che allegro, esplora il suo campo: esplora il suo campo.