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Pubblicata il 19/08/2003
sottotitolo:
"Siamo spiacenti di darvi una brutta notizia, ma vostro figlio è morto in Iraq (killed in action)"

Guarda mamma,
c'è un aereo nel cielo,
vola tra nuvole bianche,
lascia che segua il suo volo.
Ma quanto costa il biglietto
della libertà contro i muri:
non so il principio né la fine
ma voglio il futuro.
Dove mi hanno portano
i passi del destino?
Nel buio di terra straniera:
Tra deserti dell’odio
bagnati dal sangue
consumato dalla vita.
Tra la sete all’ombra
di un cannone mai spento.
Tra la sabbia che copre
gli occhi di innocenti semi.
Guarda mamma,
torna l’aereo dal cielo,
vola tra nuvole dense,
finito in uno spasmo
il mio dolce sorriso.


«Se tutto va bene rientrerò a Vicenza il 1° di agosto». La lettera di Justin Hebert, parà della 173ª Brigata aviotrasportata, è datata maggio 2003. È una lettera aperta, indirizzata alla comunità di Silvana, un paesino di appena 100 abitanti, a nord di Seattle, Stato di Washington, Usa. Il destino è stato crudele con questo parà di stanza alla Ederle: il 1° agosto, quattro giorni dopo avere compiuto vent’anni, è stato ucciso a Jar Salha, vicino a Kirkuk, nel nord dell’Iraq: l’Humwee su cui viaggiava, in compagnia di altri tre commilitoni, è stato colpito da un missile lanciato dagli iracheni. Hebert è morto, gli altri soldati sono rimasti feriti. La storia di Justin Hebert è la storia di tanti soldati americani che, all’inizio, entrano nell’esercito per trovare un lavoro e un buon stipendio. I genitori del parà hanno dovuto firmare la richiesta perché, al momento della scelta, il ragazzo aveva solo 17 anni e non bastava la sua volontà.
A convincere il ragazzo ad arruolarsi è stato un amico, Brett Rickard, che ha prestato servizio in Afghanistan. Entrambi erano attratti dall’offerta dello zio Sam: cinquantamila dollari sotto forma di pagamento delle spese del college, più cinquemila dollari di bonus. Altri duemila dollari erano previsti per chi si iscriveva alla scuola di paracadutismo. «Dicevano che bastava saltare cinque volte e che, poi, non avremmo più dovuto fare altri lanci», ricorda Rickard. Ma la scuola andò bene e l’esercito li inserì nelle truppe aviotrasportate.
«La cosa assurda - racconta l’amica Jenni McKernan - era che, prima di effettuare il suo primo lancio, Justin non era mai salito su un aereo. E in più aveva paura dell’altezza, pareva soffrire di vertigini. Io lo prendevo in giro e gli dicevo: "Come pensi di poter saltare giù da un aereo se non sei neanche capace di salire sulla scaletta?"».
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questa tua poesia è bellissima e straziante, piena di tutta la tragedia della guerra
la lettera sotto lo è altrettanto
sei stata molto brava/o

ti bacio vicina alla tua emozione
Kat

il 19/08/2003 alle 20:02

non ho nulla da dire, hai detto tutto te! complimenti!
baci,
Francesca

il 20/08/2003 alle 10:12