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Pubblicata il 01/08/2003
Questa è la storia vera
di un soggetto un po' balordo
che, per grande sicumera,
fu gabbato e perse il lordo.

Il fattaccio, assai sanguigno,
ebbe luogo presso Ostuni,
nell'amena Carovigno,
ove il sole bacia i pruni.

Il suo nome era Piletto,
uomo giusto e rifinito,
ma in lui facea difetto
il pensare assai pulito.

Quella volta - in piena estate -
era insieme a vecchi amici
e, tra lazzi e gran risate,
disse quel che tu non dici:

"Se vi è di sommo grado,
per la spesa che è di massa,
vi propongo, quale Drago,
di dar me comune cassa".

La brigata, in un momento,
davver conscia del valore,
gli rimise cento e cento,
senza fiato e batticuore.

La qual cosa era da niente,
se non fosse stata sposa
di un ben noto accidente
di natura misteriosa.

In quei giorni di vacanza,
avea avuto sorte grigia
di Simon di Castellanza
la nutrita sua valigia.

Oro, vesti e gran corredo,
con la rotta dei piccioni,
furon preda del Gran Medo
e dei venti suoi ladroni.

Fu così che la fanciulla,
senza trucco e con inganno,
prese spunto da quel nulla
per tradire l'Alemanno.

Chiesta parte al Piletto
del comune suo tesoro,
volse i passi, con diletto,
al mercato che è nel Foro.

E, in combutta con l'ancella,
che di Stefy il nome avea,
prese panni e ricche anella,
con il cuor di chi volea.

Rincasata con due more,
più costose di rubini,
raccontò al Buon Pastore
che non c'erano scontrini.

Per il fiero Tesoriere
mai ci fu più duro smacco,
ma nel ruolo di Paciere
non punì il grande scacco.

Di quel giorno maledetto
la memoria resta viva
e, com'è vero quanto detto,
certa in lui è ancor la piva.
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