PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 17/07/2003
Snodavasi il treno ratto
per la campagna immota
in un giorno di nessuna nota
denso d’un calore bruciante.

Rapido, per nulla arrancante,
scalava un dolce declivio campestre
puntato di solinghe ginestre
sparpagliate sull’erboso tappeto.

Sembianti a rughe incipienti
su di un gigantesco volto,
fessure profonde di molto
scavate dai fendenti del Tempo,

solcavano la roccia affiorante
in linee diritte e marcate
e sterili e tanto assolate
nell’ora estiva accecante.

“Signore che vuole un biscotto?
Un panino col prosciutto cotto,
insalata e salsina sapiente?
O semplice acqua corrente?”

M’interruppe il sogno letterario
troppo il cameriere sciocco del tutto
perdurando nell’offerta d’un frutto
con un fare un po’ troppo affettato.

“No, grazie!” risposi gentile
cogliendo non so qual che sottile
ironia nel suo fare servile.
Poi, che la sua figura

dalla mia vista fu tolta,
lo udii ripetere l’identica
nenia ben più d’una volta,
come scolaro che per alta lode

la poesia non vuole dimentica.
Indi un’ultima volta la voce lontana.
E d’un tratto disparve con tutti
gli armenti su piccole ruote malevolventi.

I passeggeri assai dabbene leggevano
intanto un qualche rotocalco
beati sorridendo alle facce loro
amene specchiantisi perbene

nel grande finestrino, ribalta
traslucente su cui
inscenar, mostruosa, la farsa assai
obbrobriosa di loro fatuità:

“Han preso casa al mare!”
“Eh sì, sai… l’inflazione!”
“Sempre meglio investire nel mattone!”
“E poi con tutto quell’azzurro da guardare!”

“Eh… son giovani, ancora ragazzi!”
“Vedranno poi coi figli!”
“Eh sì, sì… allor basta sollazzi!”
“Dovran venire a chiederci consigli!”

Sorridevo un poco agli inutili
discorsi, guardando a tratti
i volti loro dall’età disfatti
i sogni loro da tempo distrutti.

Correva il paesaggio lesto
e inattingibile e mi parlava
di cose assai lontane, di grandi
e piccole miserie umane,

di parole dette per sempre perdute.
Rividi me stesso bambino e le
piccole speranze cadute e
le grandi, ancor là da venire.

Mi sentivo vivere forte,
sfidare coraggioso la Morte
con le arterie pienopulsanti,
abitante di questo pianeta

mosso sol dalla moneta,
e nemico di chi segretamente
sogna, nel buio chiuso di sé,
ben altra vita: vita di Poeta.

Ciottoli vidi e alberi, case,
strade, innumeri uomini,
illuminati da un Sole per nulla diverso
all’inutile varietà d’astri di questo Universo.

Perduta ai bordi d’una galassia
la biologica cosa chiamata “umanità”
vaga senza posa né modestia
preda della sua meschinità.

Qual ricompensa a tanto soffrire
se poi qualcun ci viene a dire
con aria austera e monacale:
“Come polvere devi tornare!”?

Ma quali “sorti magnifiche”?
Ma quali “sorti progressive”?
Di tante trame filosofiche
non resta che inutile ciarpame

e prospettive amare o svago
concettuale di qualche opinionista
che non sa darsi pace che ormai
s’è detto tutto, che nulla ha senso

aggiungere, che nulla ha senso togliere,
perch’ogni cosa senza senso va,
e sciocco l’uomo crede alla consolante
favola a cui dà nome “fede”.

Così pensavo senza meta alcuna
nei miei pensieri dal volto triste
celati dietro un riso che resiste
sopra tutto, come il volto

sempre uguale della Luna.
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Una "Ginestra" dei nostri giorni... Valentina

il 17/07/2003 alle 11:02