Nello scrostato e pulcioso purgatorio,
gatti e topi ballano insieme felici
al mio passaggio,
vecchie cariatidi vanno strisciando
dove vado io, ma poi si allontanano
fra gli alberi e i sacchi,
e aria chiusa m’intoppa i seni,
mentre virus sciano sulla mia
pelle accapponata.
Il tramite per la morte è vecchio,
scricchiolante, dentro desolazione
dimora regina.
Nel malato regno dell’ultimo piano
il volto deturpato sorride a me
sperduto in quel mondo.
Il vecchio sembra vomitare, ma sputa.
Il giovane, suo figlio, gli tiene la bianca
calva testa,
e finge d’esser seccato, ma a me non mente:
sta piangendo dentro, e la piovra malefica
succhia anche la sua anima.
«Va male, va male», solo questo dice il vecchio,
sordo, tremante del suo nero passato africano
di fame e fatica.
E il mondo pazzo di quel folle sanatorio di
morte m’avvolge, m’accarezza, mi lecca.
E sono solo:
il giovane non può aiutarmi, quel mondo
è dentro di lui, negli occhi, nel cuore,
nello spirito.
Il vecchio dorme ora, mentre il folle,
allegro e triste mondo mi turbina
attorno crudele.
Fuggire, solo fuggire e salutare la morte,
sapendo che non sarà un addio, ma un
maledetto, fottuto arrivederci.