PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 13/05/2003
Anche la cena,
l'ennesima,
è finita.
Finiti i complimenti,
le pacche sulle spalle.
Fuori
resta solo questo vento da ovest
e questa notte di maggio,
vibrante
di luci lontane
e piccoli paesi
sparsi sulla collina.
Dentro al bagagliaio della macchina
ho chiuso la mia valigia di attore
e le emozioni,
mescolate agli abiti di scena
e al cerone.
E se in palcoscenico
le parole
sono il gomitolo di Arianna
per uscire dal labirinto,
il ritorno a casa
non è mai scritto sul copione:
è sempre un tuffo al cuore
da improvvisare ogni volta.
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ehi, Michele, ma fai parte di qualche compagnia teatrale?
io vado spesso a teatro, stà a vedere che ti ho incontrato e non lo sapevo.
se non sbaglio sei di torino o dintorni vero?

comunque spero che il tuo ritorno a casa sia piacevole...non mi fà piacere saperti triste!

un abbraccio pat.

il 13/05/2003 alle 22:37

hai ragione da vendere. Dopo aver suonato è sempre difficile tornare a casa: proprio un tuffo al cuore da improvvisare ogni volta !

Salutamu

Francesco

il 13/05/2003 alle 23:16

So di che parli Michele e ne sai parlare con tutto il languore presente nell'abbandono di qualcosa che per giorni ha riempito i pensieri e i passi, che non ti ha lasciato solo dentro a nessun respiro che ha posseduto ogni vibrazione
la creatività, il vuoto di alcuni momenti, la genialità improvvisa di un'intuizione, gli incastri a treccia di scene, copione, testi, attori, luci, suoni e poi il giorno o i giorni del pubblico e ancora l'ultima volta, gli applausi, lo sguardo al palco vuoto e camminando sembra che tutto non sia più tuo che non ti sia nemmeno appartenuto che non sia uscito da te. il silenzio diventa lo spazio necessario per lasciare e ricominciare ma sai di lasciare senza sapere se saprai ricominciare... in fondo è meglio dormirci un pò su.

Bravo, come sempre
ti bacio
Kat

il 13/05/2003 alle 23:36

Quasi certamente cado in errore, ma la leggo più come una metafora della vita: se in pubblico, nel nostro relazionarci con gli altri, spesso ci comportiamo da attori, cioè recitiamo una parte di cui talvolta ci permettiamo di modificare il canovaccio a modo nostro, nel momento in cui, vuotatasi la platea, torniamo in noi stessi ed abbiamo come spettatore il solo specchio della coscienza, allora dobbiamo improvvisare, con l'angoscia di non conoscere la parte.
Molto bella comunque, a prescindere dalla personale interpretazione.
Un caro saluto.
Gaetano

il 14/05/2003 alle 14:09

Questa che ho scritto è una riflessione su " qualcosa che finisce ": può essere uno spettacolo particolarmente interessante ( visto sia dalla parte del pubblico che dalla parte degli spetttori ), ma anche un libro ( quanti ne ho letti, che alla fine mi hanno lasciato con quella senszione ), di una vacanza, di qualcosa, comunque, che al suo termine lascia una sensazione di vuoto da riempire, appunto, con l' improvvisazione e con l'istinto... Quanto alle tue domande, ti rispondo che sono di Vercelli, che faccio parte di una compagnia teatrale
denominata " Fragile " e che giriamo un po' tutto il Piemonte. In provincia di Torino ho recitato a Pinerolo, per due anni di seguito, quando però facevo parte di un'altra compagnia, ora discioltasi, che faceva sopratutto repertorio dialettale. Dalle ceneri di quel gruppo, è nata, appunto, la compagnia di cui faccio parte ora. A Torino, purtroppo, non ci siamo ancora esibiti, anche se abbiamo sempre avuto "trattative in corso", mai concretizzatesi. Se verremo a recitare, a Torino o dintorni, te lo farò senz'altro sapere. Per ora ti ringrazio davvero per il bel commento che hai voluto dedicare al mio scritto e ti mando un abbraccio.
Michele

il 14/05/2003 alle 17:25

Ho usato il teatro, ancora una volta, come metafora, per parlare di "qualcosa che finisce" e di qualcos'altro che, necessariamente, "deve cominciare", con tutte le incognite del caso, da affrontare, appunto, con animo libero e buona capacità di adattamento e di improvvisazione. Il tuo commento, come al solito, è gentilissimo e graditissimo e te ne ringrazio davvero. Un bacione.
Michele

il 14/05/2003 alle 17:30

Sono sensazioni che tu, forse, più di altri puoi comprendere. Dopo tutta l'adrenalina scaricata su un palco ( a suonare o recitare, non importa ) è davvero difficile tornare alla quotidianità. Grazie per il commento e un saluto.
Michele

il 14/05/2003 alle 17:32

Ho usato, ancora una volta, il teatro come una metafora, per parlare di "qualcosa che finisce" a cui, per forza, deve seguire "qualcosa che incomincia". Qui servono davvero doti di improvvisazione! Grazie davvero per il bellissimo commento. Un bacio.
Michele

il 14/05/2003 alle 17:35

E' vero! Ho usato il teatro proprio come una metafora, per parlare di "qualcosa che finisce", a cui deve necessariamente fare seguito" qualcosa che incomincia" ed è una fase in cui, davvero, ci vuole grande capacità di improvvisazione e di adattamento... ti ringrazio per il graditissimo commento. Un saluto.
Michele

il 14/05/2003 alle 17:38

Ti ritrovo con il tuo spirito narrante ed errante sotto i riflettori e vedo sempre una luce speciale dietro le quinte, nel camerino di questo attore che tanto sa dare agli altri ma a sé? ...Un malinconico passo verso quella strada ombrosa e solitaria ma forse in un angolo potrà trovare il piacere di una luce meno artificiale, che solo lui potrà vedere e che illuminerà il suo volto senza maschera...
Complimenti Michele,c'è sempre vera emozione nelle tue parole...ci si può facilmente impersonare...
Un caro abbraccio... ;-)

il 14/05/2003 alle 18:12

Mah! Questa volta ho voluto usare il teatro per simboleggiare qualcosa che finisce il proprio ciclo, proprio come l'ultimo spettacolo di una tournee e, di conseguenza, anche qualcos'altro che il proprio ciclo lo comincia. Per questo, davvero, si ha bisogno di grande capacità di adattamento e di improvvisazione. Con grandissimo piacere ti ritrovo sul sito e tra i miei commentatori. Grazie per ciò che hai scritto a proposito di questa mia e un carissimo saluto a te.
Michele

il 15/05/2003 alle 17:08