PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 30/10/2001
Mi sto svegliando da un lungo, eterno sogno.
Nella mente vive ancora il caos di una realtà
Misteriosa, in cui strane leggi, strane entità
interagivano, senza scopi apparenti.

In questo sogno la mia essenza si plasmava,
si mutava in un’enorme sfera, che conteneva
vuoto e sfere più piccole… ed ogni sfera
era un universo.

Quando le microscopiche cellule di materia
percepirono la mia essenza vibrarono felici,
ed un flusso di luce attraversò
l’inesistente spazio tra esse e me,
ed anch’io fui felice,
senza saperne il motivo…

Ed ora che sono sveglio, rimane il ricordo
di quella strana felicità, di qualche verità
che mi si stava manifestando…
Ma ora è finito, sono qui, solo con me stesso,
come sempre, senza sapere perché, senza sapere
chi sono, circondato dal Nulla.
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Caro Teodor,
ringraziandoti comunque per il commento, (accetto volentieri anche le critiche, ove siano contributi ad una crescita) vorrei approfondire un tema che ritrovo spesso nei tuoi commenti: "questa non è poesia". (a tal proposito hai letto il mio controcommento al tuo di "con te fra le gambe"?).
Allora secondo quali canoni della poesia valuti ciò che è poesia e ciò che non lo è? Il canone alessandrino che privilegiava l'erudizione e la perfezione formale, e l'eleganza ? il canone provenzale in cui si inseguono i temi amoroso e politico? il canone stilnovista, con il tema centrale della donna, dell'eleganza formale o i canoni delle "parole in libertà" del futurismo o dell'ermetismo?
Ti riporto qui, essendo io un profano e non avendo l'autorità critica per stabilire gli stretti canoni della poesia, un estratto di un articolo su Dylan Thomas, di Nicola D'Ugo, proprio sulla rottura dei canoni tradizionali della poesia, ove perfino un punto sul foglio bianco lo è:
"...modernisti quei poeti che, dall’inizio di questo secolo ormai al tramonto, si erano prodigati a rompere i vecchi canoni della poesia e a dare alla luce opere le cui forme espressive erano tanto eterogenee da indurci a credere, cosa che oggidì facciamo senza sussulti, che una sola parola, e finanche un sol punto sul foglio, potesse costituire una lirica nella sua interezza. ...vi fu chi, in questo secolo, si sforzò di rompere la sintassi, spezzettare e riciclare la parola, perderne completamente lo status (l’onomalingua dadaista), chi la volle immobile come un dipinto cubista di Braque o di Picasso e chi la volle lanciata nello spazio come fosse un Boccioni, con linee prospettiche irrefrenabili verso il futuro. Chi la volle pubblicitaria e chi clericale, e così potremmo dire senza difficoltà alcuna che questo modernismo impresse il proprio segno con tutta la forza di braccia che ebbe, senza che fosse tuttavia riconducibile a un canone unitario comune. Basterebbe sfogliare la raccolta dei componimenti poetici di un Ungaretti o di un Rebora, di un E. E. Cummings, di un William Carlos Williams o di un Auden, per rendersene conto. Fra "Dall’imagine tesa" e i Canti dell’infermità v'è un abisso, che pure la stessa mano, quella di Rebora, ha potuto valicare... Diciamo pure che la forma non solo si presta ai contenuti, ma viene altresì sforzata e rimodellata in questo secolo, e che alcune componenti di diverso intento s’assomigliano nella novità (emblematico può essere il parallelismo fra l’opere in versi di Sanguineti e di Zanzotto in Italia). Non è un caso il fatto che la poesia luziana e quella di Ted Hughes tendano sempre più a imporre una colloquialità, una forma quasi prosastica, ma subito negata dalla verticalizzazione, per subitanea o meno che sia, della scrittura (e la verticalizzazione è un’imposizione quasi coattiva di pause, una frammentarietà dell’enunciato che può essere recuperata alla frase): entrambi rappresentano quel lirismo di immagini e tensioni prosodiche che avvicina l’arte del poetare al cinema. L’interferenza dei nuovi media è inevitabile: fumetto, televisione, cinema. Arte e non arte di massa e del movimento (cinetica, appunto), consecutio iconarum (o imaginum) per eccellenza, raffinatezza dell’inquadratura, rappresentazione, infine, di mondi virtuali. La possibilità attuale della rappresentazione audiovisiva di immagini mentali di cui, un tempo, la letteratura aveva il monopolio (anche più delle arti figurative, se si considera la sequenza cronologica di quelle immagini) è il fatto nuovo, l’evento che condiziona tutte le altre arti, e quindi la poesia. Le condiziona e, nei casi migliori, ne potenzia le capacità espressive, per analogia, traduzione, prestito. Antecedente comune a Luzi e, immediatamente ravvisabile, a Hughes, può dirsi l’ultimo Dylan Thomas, quello non solo bibliograficamente ma ormai biograficamente maturo (1952) della raccolta di versi In Country Sleep, sebbene all’origine debba vedersi il Mallarmé di Un Coup de Dés jamais n’abolira le Hasard (del 1897), specialmente per gli ultimi esiti della poesia luziana, e a Thomas vada il premio di volontario mediatore fra quell'origine e quest'esito."
Quindi, in forza di questo e altre situazioni letterarie, finanche la mia stessa sensazione a riguardo, non ritengo di incanalare in canoni troppo stretti ciò che l'"artista" propone esautorandolo dalla sua stessa intenzione. Ricordiamo Dechamp che presentando quale opera artistica un apriscatole ha dato per ciò stesso un contesto ed una qualità artistica ad un oggetto che di nascita non era certo tale.
Concludo perchè non vorrei annoiare.
Ciao
Alessandro

il 01/11/2001 alle 12:19