Tu…
di cui non si ama parlare, come
se non parlando di te, tu potessi
scomparire.
Che ci sogni non appena svegli,
che svegli ci addormenti.
Che nell'addormentarci ci
consumi, maceri.
Che ti nutri, di tutto ciò che è
fine.
Fino a quando ci costringerai
a quel riposo eterno che non
distingue un anziano da un
bambino.
Tu che imponi le tue leggi,
che portano a chi resta , per
quanto possano amarli,
a proteggersi da coloro che
non hanno più ritorno.
In un susseguirsi, a volte
veloce, nel cuore che
improvvisamente si ferma.
Che si ferma, a volte,
lentamente, come nel tessere
la sua tela, il procedere di un
ragno.
Di chi hai, se non di te stessa,
memoria?
In riti sempre diversi, di
religiosità in religiosità immersi.
Immersi nelle più antiche a
quelle più avveniristiche forme
di conservazione, di umana
sopravvivenza.
Sopravvivenza, in un sentire
più spirituale, che diventa ricerca
della verità, della vita, oltre il tuo
confine.
Cosa c'è di peggio, che di te
avere la certezza, la
consapevolezza?
In una follia collettiva che non
impazzisce.
Che non impazzisce pur sapendo
che tu esisti…
…tu che non esisteresti senza il
nostro esistere.
È questa in fondo la nostra colpa,
il nostro peccato, essere vita,
mentre tu sei morte?
Vita che appartiene alla bellezza.
Bellezza che puoi percepire solo
come suo contrario.
È questa in fondo la tua pena,
la tua rabbia?
Questo tuo dipendere comunque
dalla vita.
Vita che di te è schiava, come tu
della vita sei altrettanto schiava?
Quando noi ci libereremo di te e
tu di noi?
Quando riusciremo ad aprire il
lucchetto di questo nostro essere
catena?
Quando riusciremo a trovare la
chiave che tutto apre, rivela?
Se nessuno dei due sappiamo
quale sia quella giusta, dove o
come cercarla, né se esista…
e se esiste, chi la possiede, né
perché continua a tenerci chiusi
nella stessa cella e ad essere, nello
stesso tempo, una dell'altra
prigioniere?
Dimmi, se puoi, che non è vero.
Che dove va una, va anche l'altra,
luce ed ombra.
Un'ombra che non conosce Zenit.
Che man mano il Sole si alza
sempre più nel cielo, diventa sempre
più grande, nera.
Dimmi che anche tu cerchi la
stessa cosa, la stessa chiave.
O non la cercheresti, se
rappresentasse di entrambi la
propria fine.
Fine che il vivere conosce e
che tu conosceresti.
Conosceresti la paura che di te
si prova, conoscendo la paura di te
stessa.
Per questo ci lasci soli nel cercarla?
Perché nel trovarla conosceresti la
fine di te stessa.
E più nel vivere noi la cerchiamo,
più tu stermini, uccidi.
E mentre la vita cerca di non essere
più prigioniera, di non essere di te
schiava...
tu cerchi, pur rimanendo della vita
schiava, di rimanere ad essa invece
legata.
E se la vita e la morte fossero la
stessa cosa?
Nessuno che l'uccide, per chissà,
ad esempio, quale colpa.
Nessuno che la fa morire e la
vita non fosse che la morte di sé
stessa?
In un singolo collettivo
automatismo di autodistruzione...
se si nasce poi si muore.
E se la vita fosse una morte che
vive?
Una morte che nel rispondere
domanda:
Tu...
che vivi di perché, di ipotesi,
come tu fossi il centro stesso
di ogni possibile universo.
Che mi accusi di ogni cosa.
Tu vita...
perché mi fai morire, se io sono
già morte?
Che bisogno hai?
Perché sei così crudele?
Perché mi fai morire ogni volta
che tu nasci?
Credendoti così unica, superiore,
bella...
Da cosa deriva questa tua
convinzione, questa tua
arroganza?
Che da sempre mi ferisce,
mi colpisce.
E la vita...
non seppe rispondere alla
morte.