Indiscutibile mantello. Troppe volte usato, non necessariamente nero. Caldo, strappato, infido disegno. Non si muove, non parla. Drappeggio che scende commosso dall'alto. Suadente, irregolare. Finestra di vecchio merletto. Un tappeto premuroso, attento. Si apre la lama buia di una crepa. Paralizzato, appeso un lampadario. Mutilati oggetti dappertutto, in una guerra senza pace. Soldati di mattoni lì nel muro, compaiono e scompaiono. Povera gente che nel pavimento vive il suo allineamento, curva. Passi che si intrecciano, si muovono verso l'esterno. Ritornano indietro. Spazio lungo, ampio, etereo. Rumore. Tessono le ore lampi di vita che sono tuoni di morte. Accade. Ed è immersa nel buio l'ombra leggera, che ostacola, inciampa. Da sé, senza essere spinta. Si adagia, respira. Si ferma e si agita. Fugge, non sa di correre. Cade. S'insegue, affonda, riemerge. E sa dov'è stata, ormai priva. Attratta si libera. Pozzo nero che emerge, si chiude, si apre. Si sporge, ha paura. Si scosta e ritorna. Poltrona sepolta, polvere umana. S'impradonisce di lei ed è lì che rimane. Forse si trova, si chiede. Bicchiere opaco di vetro. Ragnatela ristagna. Pulisce. Sposta, ma esegue. Sensibilità inanimata artefice. La vita fino ad ora un cantiere. Il suo datore di ruolo, il suo datore di amore, il suo datore di lavoro. Il tempo dà peso. La forma, si muove. Oltrepassa il confine. Ogni istante ha un centro, la chiama. Risponde, investigare, vive. Di talpa scavata dimora. Sorprende il diverso sgorgare del suono. Come un'onda al tramonto. Trapela. Il fluire sequenza. Su una spiaggia l'arida orma. Di sorsi momenti bagnata. Lasciata al contrario per non essere inseguita. In quella trasparenza mai raggiunta. Racchiusa.
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