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Pubblicata il 14/06/2021
Tata Marta ha voluto bene, ricambiata, a tre generazioni. Aveva quattordici anni quando, prelevata dalla sua borgata, andò a Torino a servizio in casa di mio nonno paterno: era una ragazza grassottella, bassa e sorridente, con una lunga treccia di capelli biondi. Anzi “biondo cenere”, come ci teneva a definirli lei. Arrivata a Torino, vide la città, i palazzi, le strade asfaltate…guardava tutto con la stessa sorpresa di chi vede il mare per la prima volta…… una miriade di gente che lasciava scie di insoliti profumi…. e tutte quelle signore, poi, con i vestiti lunghi e gli ombrellini….Era il 1910 o giù di lì. La mia prozia, insegnante elementare e cuoca professionale, che abitava con mio nonno, (in famiglia la chiamavamo “Tante”, in francese “zia”), le insegnò a cucinare, spolverare, rassettare e accogliere come si deve gli ospiti…. In pochi anni divenne una perfetta vice-padrona di casa, orgogliosa del suo grembiule con l’orlo di pizzo, che indossava quando voleva fare bella figura..
marta era contenta: col tempo, quasi non ricordava più il sentiero tra i prati che portava alla sua vita antica, a quella casa malandata, fitta di pensieri attaccati alle pareti smunte e dimenticò anche l’odore della campagna, un misto di letame, erba e fatica, che suo padre e i suoi fratelli tenevano cucito addosso. Aveva tagliato i capelli biondi, pardon, biondo-cenere, che portò raccolti in due treccine attorcigliate sul sommo della testa; più avanti imparò a farsi lo chignon, (volgarmente detto "banana!), sulla nuca, come le signore per bene che incontrava la domenica in chiesa.
quando mio padre quindicenne approdò nella casa di Torino, Tata Marta lo irrobustì con manicaretti, lo aiutò a diventare grande, gli rese lieve l’adolescenza ingrata e quando alla fine, da adulto, svolazzò via per crearsi una famiglia a Milano, Marta lo salutò con un sorriso, nascondendo lacrime e nostalgia nel petto generoso.
ma i destino volle che mio padre, rimasto vedovo, chiamasse a Milano, nella sua casa, la Tante e Marta per aiutarlo a accudire la piccola Dani. E furono tre anni di pannolini, capricci, risatelle, i primi passi, ginocchia sbucciate, tre civette sul comò, la minestra che non va giù, l’acqua rovesciata sulla tovaglia e le occhiatacce di papà. Se mi ammalavo, Tata Marta si acquattava nelle pieghe dei miei respiri vegliandomi la vita. Poi, papà ha accompagnato i miei passi acerbi in collegio, dove le premure di Marta non arrivavano: mi rincuorava, però, il suo affetto, che dissetava le mie domeniche e le vacanze estive.
sono cresciuta, mentre lei, invecchiando, rimpiccioliva. Ho lasciato la mia casa per sposarmi quassù, nel mio piccolo paese e ho dato alla luce due bimbe. Tata Marta, con gli occhi sgranati, spiava furtiva il loro crescere: per il battesimo, a distanza di un anno l’una dall’altra, apparecchiò una tavola regale, con le posate d’argento e il servizio buono, orgogliosa delle sue pietanze, preparate con gioia, maestria e tanto affetto. Già programmava e pregustava come avrebbe allestito il banchetto per la loro prima comunione. Ma non fece in tempo, il ricamo dei suoi giorni era finito.
ciao Tata Marta, chissà in che foggia hai pettinato la tua treccia bionda … pardon! biondo cenere! chissà che piatti appetitosi prepari in paradiso! Ma non stancarti troppo: hai aiutato a crescere tre generazioni: papà, me e le mie figlie. Riposati, adesso.
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Letta e apprezzata. Persone così meritano di essere valorizzate e tu l'hai fatto in maniera pacata ed efficace.

il 14/06/2021 alle 17:05