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Pubblicata il 12/06/2021
poldo E bianca.
parlavano e parlavano, ma era un passatempo ozioso, perché non giungevano ad alcuna conclusione. D’altra parte il fatto era così strano che una spiegazione ci doveva pur essere: sembrava che nessuno avesse notato qualcosa di particolare, ma non era possibile: la sera prima, sotto gli occhi di tutti, il bozzolo era chiuso e il mattino dopo aperto e vuoto. Meraviglia e incredulità serpeggiavano. Qualcuno cercava di minimizzare l’accaduto, sostenendo che non c’era nulla di strano, che poteva trattarsi di un caso; altri assicuravano che non era la prima volta che succedeva, alcuni, ma erano pochi, dicevano che si era sempre verificato ma che si tentava di occultare il fatto. Quelli che sapevano, ed erano la maggior parte, fingevano di nulla e non aprivano bocca. Il problema era scoprire il motivo di quel silenzio.
poldo decise di approfondire la questione e di investigare a fondo. Era un bruco piccolo e peloso, verde come l’erba e con uno strano uncino che fungeva da coda, mangiatore accanito di foglie di quercia: sembrava cattivissimo, per colpa di quell’artiglio posteriore, ma in realtà era sensibile e generoso. Insieme con Ottavio aveva costituito un simpatico duo, fino a che non sopraggiunse il tempo della muta. Ottavio a poco a poco stava diventando apatico e silenzioso. In seguito si era irrigidito, il suo corpo era diventato insensibile agli stimoli, si era ricoperto di una specie di membrana coriacea e si era rifugiato in una specie di abitacolo, appeso ad un ramo della quercia.
durante la muta i bruchi non possono parlare, sembrano morti stecchiti, ma ugualmente percepiscono la presenza degli altri e hanno bisogno di compagnia; perciò Poldo andò tutti i giorni a fargli visita, fino a quella mattina, quando trovò il bozzolo disabitato, senza alcuna traccia di Ottavio. In quella piccola comunità gli insetti erano scarsamente ciarlieri e molto selettivi: i maggiolini parlavano solo con i maggiolini, le api con le api, i bruchi con i bruchi, niente di più. Perciò non era facile comunicare.
gli unici insetti di larghe vedute erano le lucciole, considerate da tutti poco serie, perché eccessive nella loro disponibilità. Poldo parlò con Ivonne una sera che la vide per caso, vestita di una piccola luce. Le chiese semplicemente:
- Sai dove sia finito Ottavio? -
- Ottavio non è morto: è passato a miglior vita - rispose Ivonne - succederà anche a te.
- Perché non si fa vivo con me, allora? -
- Perché ha dimenticato. - concluse Ivonne e se ne volò altrove.
poldo pensò che Ivonne fosse bugiarda, perché, chiuso in quel bozzolo, Ottavio poteva aver dimenticato molto del suo vissuto, ma non un amico, gli amici non si trattano così. Rifletté anche sul concetto di “passare a miglior vita”, ma non riuscì ad afferrarne il significato. Non gli restava che aspettare per vedere che cosa sarebbe accaduto a lui. Comunque, si ripromise che mai e poi mai avrebbe dimenticato il piccolo mondo in cui viveva: c’erano pochi fiori, pochi insetti, poca acqua, poche novità, a parte la misteriosa sparizione dei bruchi e la comparsa periodica di farfalle, ma era l’unico mondo che conosceva. Dopo qualche tempo, una mattina si sentì strano, stanco. Era come se il corpo si rifiutasse di obbedirgli. Le zampe erano pesanti e quasi insensibili. Capì che era l’inizio della muta e incominciò a costruire il suo bozzolo, cercando di legare, con quel filo, oltre al corpo, la mente, l’ordine dei pensieri e dei ricordi che tenacemente voleva conservare.
quando il bozzolo fu completamente chiuso, iniziò per Poldo uno strano viaggio a ritroso: ripercorse la sua vita a rovescio e, mano a mano che si snodavano, immagini e ricordi, si disfacevano e lui dimenticava. Cercava di tenerli stretti, ma gli sfuggivano. Come le foglie della quercia che, d’autunno, si slegano dai rami e, accartocciate, si disordinano senza più significato, radici e linfa, così quei ricordi brevi perdevano il filo e lo spessore, uscivano dal tempo, dallo spazio dei pensieri e svanivano. Poldo, infine, ricondotto per chissà quali disegni al suo punto zero, percepì un fascio di luce e si sentì spinto fuori. Con un guizzo di dolore vide il sole e venne al mondo di nuovo, senza identità e passato. Avvertiva delle necessità, degli stimoli, ma erano ancora nebulosi; guardava il suo corpo, le antenne, le ali che lentamente si asciugavano al sole, acquistavano forma e colori e tremavano leggere, mentre timidamente si aprivano; si sentiva pervadere da timore, speranza ed eccitazione, sensazioni che accompagnano sempre ciò che sembra mistero. Era entrato in una vita che confusamente sapeva di aver atteso e di cui, altrettanto confusamente, aveva paura. Una farfalla colorata si avvicinò e disse:
- Benvenuta! hai bisogno di un nome: sei bianca e ti chiamerai Bianca. –
bianca si sentì meglio: aveva un nome, un corpo, le ali: poteva volare e volò. Quel posto le piaceva: più lo scopriva e più avvertiva l'oscura sensazione di averlo già visto, di averne già fatto parte. Soprattutto amava la grande quercia. Si posava volentieri sulle sue foglie, svolazzando ora su una ora su un'altra: in fondo non gradiva molto volare, le ali le davano quasi fastidio: a volte aveva l'impressione di abitare un corpo che non le apparteneva, intrappolata in un vestito di vita che non era il suo. Crebbe volando, nutrendosi e riposando sulla quercia. Venne il tempo opportuno e Bianca scelse un luogo per deporre le uova. Ne era orgogliosa, come ogni madre e impaziente di vedere nascere le sue piccole farfalle bianche.
il giorno che si schiusero Bianca era nei pressi, trepidante, e vide uscire dalle uova delle cose che subito non riconobbe: erano piccoli bruchi, con il corpo peloso e sottile come uno stelo di margherita, che si contorcevano silenziosi. Li osservò con distacco, come si guarda ciò che non si invidia: in quell'attimo ricordò Poldo e il suo vissuto, le lucciole, il sapore dell'erba, l'odore della terra bagnata, il mistero. Non aveva dimenticato, in realtà aveva sepolto nel profondo ciò di cui si vergognava, un passato che le sembrava strisciante e sudicio, il passato di un perdente: lo rinnegò per sempre, in quel momento.
guardò quello spruzzo ingiusto di corpi e pelo che aveva nascosto nel ventre, nutrito e dato alla luce senza amore: non lo dirò mai a nessuno, pensò. E volò via.
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