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Pubblicata il 09/01/2021
Questi versi mi ricordano le rocce:
disinteressatamente eterne.
puoi sentirle raccontare d'ogni
nube che ha circumnavigato i cieli.

fruibile pellegrina fra i manoscritti
dei miei corpi passati, pii poeti
antenati, grassi di noia. Echeggia
un suono ancor più antenato.

È la mia lettura distratta, fra il rombo
del villaggio, snello, in sgomento
e grida, madri d'incomprensioni.
l'arte è la mia sacrosanta preghiera.

- Gnossienne. - Richiudo gli occhi.
leggo con le mani. In un salotto
con i miei fratelli simili, sorseggio
dell'assenzio, o è forse vino?

e poi lagrime rosse - ecco, era vino -
a spargersi su queste costose
pagine dorate, come fanno le fate
della notte sui prati dei boschi.

perché la mia carne è sanguinante
in questi anni accesi da cotanto buio?
il lume dell'immenso timore, che
uomo fletteva sulle sue contemplazioni.

il lume dell'immenso amore, che
uomo fletteva sulle sue scoperte.
nessuno lo sente il cemento armato
piangere fra le stelle a neon?

libro secolare - Maledetti fiori! - e
musica degli astri antenati, vi tocco.
e toccandovi malinconia s'alza,
e alzandosi, cammina. Credo nei miracoli?

perché dive, non risvegliano in me
il desiderio di sogno. Solo incostanti
sospiri, e fotogrammi sparsi.
mi mancano i miei salotti e fratelli.

in che anno siamo? Senti anche tu
l'ipocrisia umana ammorbare l'etere
di fumo industriale? Tocca i miei versi
e crederò anch'io nei miracoli.
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Mi sembra un percorso che si snoda tra vari sentieri: credo che, alla fine, si aspiri ad una sincerità che richiami alle origini, come quelle rocce "disinteressatamente eterne".

il 10/01/2021 alle 10:38