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Pubblicata il 02/01/2021
Dallo specchio mi guarda con occhi troppo magri,
così neri,
così cerchiati,
con capelli troppo lunghi, troppo ricci,
per uno che vuol tuffarsi
in un mondo drogato di stelle;
era Natale,
qualche giorno fa,
e mi fissava silente e assorto,
dallo specchio,
dal fondo di un sogno
di un sogno,
tra ettari di comode rinunce,
di deleghe
e orecchi sordi ad ogni contenuto.
« Una intelligenza emotiva, »
diceva, rosso sotto la pelle bianca,
« È frutto di un'educazione sentimentale.
invece di accoglierla,
l'hai inseguita
al costo di venti franchi e cento umiliazioni, molle e disidratato. »
«Già, » replicavo sconfitto,
« E ora sogno.
sogno di non sapere oggi ciò che non sapevo allora,
che la cenere spenta non scalda,
soffoca,
e che ora tu sei qui: pessima compagnia... Forse è ora che tu vada. »
silenzio, sguardi, ferocia,
affetto.

le luci lampeggiano...

lo scarto tra me e me avanza...

la sordità si compatta...
fischia.

poi un treno,
la campagna,
immagini dal sud della Francia,
da Barcellona,
da Rodi: bacheca di un domani già speso,
istantanee di un consumo a credito,
un fiammifero bruciato prima di accendersi;
in un soffio vola via,
a perdersi nei vicoli di Genova antica,
canzone da puttane morenti.

lo specchio,
io,
lui,
silenzio magro
sul mondo bianco.
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